Lo Spirito Santo opera?

Sant’Isidoro di Siviglia invocava: «Spirito Santo, che sopra ogni realtà ami ciò che è giusto, non permettere che violiamo l’ordine della giustizia: così che l’ignoranza non ci induca in errore, la parzialità non ci pieghi, l’offerta di doni o il riguardo di persone non ci corrompano».

La Chiesa «mira solo a continuare, sotto la guida dello Spirito consolatore, l’opera stessa di Cristo» (GS 3), ossia a servire gli uomini, perché scoprano il loro posto e impegno nel mondo, senza nostalgie di ritorno all’antico né fughe intimistiche o visuali troppo ristrette. Se l’edificazione del futuro di Dio nell’oggi della storia si compirà pienamente solo nell’al di là dei «cieli e terra nuovi» (2 Pt 3,13), esso, tuttavia, inizia con l’attenzione alla densità e concretezza nel “già” presente “qui ed ora”, cosicché tensione escatologica, chiara visione sull’uomo e su Dio, senso della Chiesa, si richiamano a vicenda e sono profondamente connesse. Benedetto XVI l’11 ottobre 2012 diceva: «Camminare nel mondo quali “sapienti viaggiatori”, equipaggiati solamente di ciò che è essenziale, ossia del Vangelo e della fede della Chiesa, di cui i documenti del Concilio Vaticano II sono luminosa espressione, come pure lo è il Catechismo della Chiesa Cattolica» (Cfr. Omelia del Santo Padre in occasione della Messa per l’apertura dell’Anno della Fede). L’antica formula agostiniana “credo per comprendere, comprendo per credere”, ripresa magistralmente da Giovanni Paolo II nell’enciclica Fides et Ratio vuole rispondere ai perenni interrogativi degli uomini, in modo adatto a ciascuna generazione, sul senso della vita presente e futura e sulle loro relazioni reciproche, mettendosi in ascolto per capire e imparare a credere. Prendendo sul serio l’umano, i cristiani devono però anche fare attenzione alle contraddizioni cui sono soggetti il progresso e le scoperte, non perché male in sé, ma perché la natura decaduta dell’uomo non riesce più a cogliere il nesso tra il particolare e il tutto e spesso scambia anche il mezzo per il fine. Riflettere, perciò, sulla cosiddetta radicale trasformazione culturale e sociale della vita contemporanea significa cercare di immettere una parola di speranza in mezzo ai tanti interrogativi pieni di apprensione sul futuro dell’umanità e, quindi, provocare un “balzo innanzi” nel dovere della comunità cristiana di continuare a evangelizzare nel “frattempo” di un’“evoluzione” generale della società nel suo complesso. Purtroppo, anche tanti cristiani si sono assuefatti. Sono molti, infatti, troppi, ad esempio, quelli che ritengono più saggia e moderna la posizione di chi concepisce la verità non più fondata sui principi logici e obiettivi, ma su quelli psicologici estremamente mutevoli e che, se lasciati soli, orientano verso il progressivo e tormentato disfacimento del contenuto mentale. Paolo VI, il 24 novembre 1965, nell’udienza generale, mise in guardia la comunità cristiana dal “relativismo storico”, ossia «sull’uso in alcuni del pensiero che si modella sulla storia, che è ancora il tempo, che muta e passa, e si contenta di affermare ciò che oggi pare vero, ma che domani forse cambierà». A noi oggi è chiesto di rimanere saldi nella fede (cfr. 1 Cor 16,13), aderendo intimamente alla stabilità delle verità divine che non mutano con il passare del tempo. Non si tratta, però, di rimpiangere i bei tempi passati, ma di discernere in un tempo di grandi trasformazioni sociali i crescenti segnali contraddittori di vita che reclamano un senso e una direzione. Il fenomeno della crescente disoccupazione, la perdita di punti forti e condivisi di riferimento, l’infrangersi di ogni regola che non sia quella del diritto alla propria soddisfazione e realizzazione personale, gettano l’individuo in una massa anonima di estranei o di concorrenti al proprio desiderio di benessere. È inutile continuare a lamentarsi sulla corruzione dei tempi e dei costumi senza chiedersi, ad esempio, se si è fatto tutto il possibile per trasmettere ai propri figli e nipoti il senso della vita e quelle certezze che non ci hanno mai lasciato. Paolo VI nell’udienza generale del 10 luglio 1968 invitava il popolo di Dio a scoprire quali sono le varie ragioni che hanno portato a «una morale senza Dio, a un cristianesimo senza Cristo e senza la sua Chiesa, a un umanesimo senza l’autentico concetto dell’uomo». È necessario, perciò, vivere radicalmente le esigenze della sequela cristiana quale cammino autentico di rinnegamento e di liberazione (cfr. Lc 9,23). Oggi siamo ricondotti al dovere di approfondire il mistero della Chiesa, assimilato nella sua natura di popolo convocato dalla Santissima Trinità per essere “sacramento di salvezza e di unità”, cosicché nei rapporti tra Stato e Chiesa si instauri di volta in volta, ognuno nel rispetto della propria indipendenza e finalità, una fruttuosa e sana collaborazione a servizio entrambi, anche se a titolo diverso, della persona umana. Benedetto XVI il 21 dicembre 2009 parlava di “novità nella continuità”: «Anche le persone che si ritengono agnostiche o atee devono stare a cuore a noi come credenti. Dobbiamo innanzitutto preoccuparci che l’uomo non accantoni la questione su Dio come questione essenziale della sua esistenza, perché egli accetti tale questione e la nostalgia che in essa si nasconde». È importante che ci siano novità e continuità nel comprendere l’uomo in tutte le dimensioni costitutive della persona, la quale è chiamata a crescere nella consapevolezza della propria dignità e del suo compito nell’ambito della vita familiare, sociale, culturale, economica, politica e internazionale. Compiti vastissimi di impegno si aprono in modo particolare per noi cristiani, oggi chiamati a portare un valido aiuto a tutti, basandoci sulla Parola di Dio e sullo spirito del Vangelo, aumentando in noi quella consapevolezza di non poterci isolare dal mondo, ma di dover entrare in esso, specie attraverso un approfondimento spirituale del nostro impegno. Lo Spirito Santo opera! «Vieni Santo Spirito, scalda ciò che è gelido» (cfr. Sequenza allo Spirito Santo).

 

 

di Don Salvatore Rinaldi

 

Articolo pubblicato su “Primo Piano” di lunedì 23 Gennaio 2017

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