Tommaso: il primo ricercatore del vivente

La nostra vita spesso si imbatte in una realtà che ci travolge e che non ci permette di essere ciò che vorremmo essere: la paura. Per un anziano, ad esempio, la paura può manifestarsi nella solitudine; per una persona che non ha mai avuto problemi di salute, può manifestarsi nel momento in cui deve sottoporsi a una diagnosi. 

Ma anche quando si vivono momenti particolarmente felici e positivi, la paura può manifestarsi nel timore che tutto possa presto finire. O ancora, più in generale, è possibile essere colti dalla paura di non riuscire nella propria vita. In ogni caso, nei momenti di paura, si cerca una persona che possa aiutarci a superarli. La seconda domenica di Pasqua la Liturgia della Parola ci presenta un momento di paura da parte di 11 apostoli, uomini che erano stati fieri di andare dietro a Gesù di Nazareth perché con lui si sentivano importanti e della loro sequela vedevano anche i frutti. Alcuni, insieme a lui, avevano fatto anche dei progetti di vita. «Concedici di sedere uno alla tua destra e l’altro alla tua sinistra nella tua gloria» (Mc 10,37). Ma dopo che questi uomini avevano lasciato la loro precedente quotidianità, si ritrovano il loro Gesù appeso ad una croce e, presi dalla paura, scappano. Pietro persino mentirà. Allora si incontrano tra loro per darsi forza a vicenda e si riuniscono nel cenacolo. Tutti conosciamo quel momento storico in cui gli apostoli si erano chiusi fisicamente e materialmente in quella casa e avevano persino chiuso le finestre (Gv 20,19). Nonostante la struttura dell’abitazione ebraica, che in quel periodo prevedeva molte fessure, “non si respirava aria buona”. Perché in quell’ambiente si trovavano un gruppo di persone che erano scappate, con a capo Pietro che aveva tradito. Gente che aveva tradito, gente che era scappata, ma soprattutto gente che aveva paura che arrivassero le guardie del sinedrio che accusassero loro del furto del corpo di Gesú. Le guardie del sinedrio, infatti, custodivano il sepolcro e, dato che Gesú era risorto, furono pagate per dire che il corpo era stato rubato mentre loro dormivano, pur di non ammettere la Resurrezione. In questa atmosfera Gesú, il Presente, entra, ma senza sfondare nessuna porta o finestra. Gesú si presenta a quella gente afflitta, traditrice, paurosa e, davanti a quelle persone che non hanno più il senso del quotidiano, dice: «Pace a voi, ritornate nella tranquillità» (Cfr. Gv 20,19). Queste sue parole non sono un augurio, ma una promessa per il futuro.

È un dire a voi che avete tradito, a voi che non avete la forza di aprire le porte: «Pace, io ho mantenuto la mia promessa, vi do la pace per ritrovare voi stessi, io non sono un fantasma» (Cfr. Gv 20,26-27). E subito dopo, a quelle persone piene di paura che lo avevano persino tradito, dà anche un incarico: «Da oggi riceverete una forza straordinaria e sarete testimoni di ciò che sta accadendo» (Cfr. Gv 20,21-23). Ma quel giorno mancavano alcune persone, mancavamo noi, mancava Tommaso detto Didimo, il nostro fratello gemello. Mancava il primo ricercatore del Vivente. Ma chi è Tommaso? Tommaso nei momenti di gioia era andato dietro a Gesú di Nazareth che riusciva a dire la parola giusta al momento giusto, e persino riabilitava socialmente le persone (il lebbroso, il paralitico, il cieco, l’adultera...). Ci aveva creduto veramente, aveva lasciato tutto per seguirlo e da quel giorno che Lo vide appeso ad una croce si disperava dicendosi: cosa abbiamo fatto? A Lui che ha dato la vista ai ciechi, a Lui che ha guarito i lebbrosi, [...] abbiamo dato la morte. Egli cercava a tutti i costi quel Cristo appeso ad una croce, che precedentemente era stato posto nel sepolcro. Tommaso non aveva alcun desiderio di chiudersi in una comunità a pensare alla morte di qualcuno, Tommaso stava sempre fuori. Quando i discepoli lo rimproverano per la sua assenza durante la prima venuta del Signore da Risorto egli risponde: «Ma quel Gesú che io ho amato? Proprio lui? Se Gesù fosse stato veramente qui, voi non avreste più paura, aprireste porte e finestre e uscireste, perché certi che il Vivente è ancora qui in mezzo a noi. Se è vero, io voglio vedere le sue piaghe, solo attraverso quelle piaghe lo riconoscerò, perché Lui è l’unico che ama l’umanità fino a quel punto» (Cfr. Gv 20,24-25). Così, quando Gesú torna e c’è anche Tommaso, Tommaso non ha piú bisogno di mettere il dito nelle piaghe e dice solo: «Mio Signore e mio Dio» (Gv 20,28), che significa “mio respiro”. Tommaso è concretezza che nella nostra vita di tutti i giorni c’è il Presente, il Vivente che dice a noi: «Pace» (Gv 20,26). È come se il Vivente ci dicesse: «Pace a te che non hai la forza di aprire le porte, pace a te che mi hai tradito, pace a te che hai paura, pace a te che sei scappato. Io ci sono e porto ancora i segni del mio amore nei tuoi riguardi» (Cfr. Gv 20,26). Grazie Tommaso!

 

di Don Salvatore Rinaldi

 

articolo pubblicato su “Primo Piano” di Lunedì 24 Aprile 2017

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