Potare e lasciarsi potare

L'essere umano è un mendicante di felicità. Nella Bibbia, Dio incontra uomini che sono in cammino, e li spinge a continuare, ad andare, ad uscire. Fino ad arrivare Lui stesso uomo in cammino, uomo della strada.

"Uomo, ti è stato insegnato ciò che è buono e ciò che richiede il Signore da te: praticare la giustizia, amare la pietà, camminare o umilmente con il tuo Dio" (Mi 6,8).

 

Praticare la giustizia secondo la metrica di Dio, cioè stare in un giusto rapporto con gli altri, quello di chi ha cura del fratello, dell'altro. Amare con tenerezza, dal di dentro, a partire dal basso, abbassandosi. 

Camminare umilmente con Dio, aspettare Dio perché Lui si possa mostrare, e avere relazioni responsabili con la vita.

La felicità è stare in una relazione sana, in uno stile di vita buono e felice, che ha sempre a che fare con gli altri. Trovare la Sua luce in noi: nel profondo dei nostri sogni, nell'accendersi dei nostri desideri, nel segreto delle nostre coscienze, che lo cerca. È Dio che viene all'uomo, che lo cerca. Si lascia toccare, entra nel cuore e trasforma pensieri e affetti secondo la legge del bene, dell'amore donato.

La felicità di Dio forse potrebbe essere possibile quando i suoi figli sono contenti, nella gioia, se stanno bene. Uno star bene che però non è determinato da un benessere individuale, egoistico del tutto ruota intorno a me; ma uno stare nel bene. La gioia vera di coloro che gli stanno vicini non può essere solitaria e individualistica perché la gioia ha a che fare con il dono, sempre. Quando, con l'intelligenza della fede, cioè la capacità di intus legere, leggere dentro le cose, dentro gli avvenimenti e dentro se stessi, si arriva a riconoscere che il bene c'è, e condividendolo si rende il Vangelo concreto nelle vite feriali. Fino a leggere chiaramente la storia, personale e collettiva.

La mia felicità dunque ha a che fare con un Dio che viene, che offre senza chiedere in cambio, che crede in me e mi affida tesori, che intorno a sé non vuole rendiconti ma figli; che come un innamorato desidera essere desiderato. È lui che incredibilmente si mette al mio servizio, a servizio della mia felicità; ed entro nella gioia di moltiplicare.

Occorre immergersi nel reale, alla ricerca di ciò che mi rende autentico, lavorando e per far crescere i legami: non semplici connessioni/disconnessioni che nutrono l'egoismo, ma relazioni in cui si svela anche il bene dell'altro, scelte di cura e compassione, nella fatica benedetta di restare aperti a quel mistero che è il vivere. 

Imparare a camminare dentro le proprie scelte è meglio che lasciarsi sedurre da tutte le occasioni che si possono presentare. Non per ristrettezza mentale, noia o acquiescenza all'abitudine, ma per spazio e verità alla propria libertà. La felicità non è un punto di arrivo, c'è un processo nel mezzo. Ci sono tagli, rami che non fioriscono o tralci spezzati... Il potatore, forse, non è solo il Signore, ma è ciascuno di noi; per se stesso e per gli altri. Potare e lasciarsi potare è un processo quotidiano e ha radici nella capacità di costruire relazioni sane, di amicizia, di fratellanza. 

Dobbiamo imparare a riconoscere da dove veniamo, dove siamo innestati, ma anche riconoscere che siamo altro, siamo diversi da chi ci ha generato e da chi cresce al nostro fianco. 

Sembra che vedere l'altro felice, che vedere la sua vita compiersi in pienezza sia una cosa che ci disturba, ci infastidisce, ci innervosisce. 

 

Alla base di questi atteggiamenti vi sono forme raffinatissime di invidia.

 

Articolo di lunedì 20 maggio 2024

don Salvatore Rinaldi

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