Osare a fare di più

Tante coppie hanno paura di crescere, di affrontarsi, di interrogarsi, di confrontarsi, di esporsi: preferiscono vivere la propria vita chiudendosi nel lavoro o nel gruppo degli amici. Trascurano la relazione con la propria/o sposa/o e ogni giorno di più venendo a mancare la linfa necessaria per vivere al meglio la propria vita coniugale, arrivano a sentirsi due estranei in casa, sia pure con tanti hobby e tante conoscenze superficiali.

Non fanno l’esperienza di una vita appassionata, fervente, felice, pur intravedendo che sia possibile viverla e assaporarla. Ciò che affligge molte coppie è darsi per scontate, è non impegnarsi, è credere che non sia necessario curare la propria relazione. Ci si chiude ermeticamente nel proprio guscio o nel proprio lavoro, non si dialoga e muore di asfissia. Oggi la coppia è seriamente minacciata dalla solitudine. Si chiude la porta, ci si mette di fronte al computer oppure di fronte a una «balia elettronica», il cellulare a portata di mano, si parla, si fantastica nelle chat come nelle pagine di Facebook quello che un tempo si era sognato di realizzare con la persona che si amava e che poi è diventato troppo difficile. Ognuno incontra l’altro senza vederlo, ognuno sente senza ascoltare e comprendere e si finisce per creare ciò che più si teme: la condizione di single anche quando si vive in coppia. La disaffezione reciproca diventa facile giustificazione e predisposizione a nuovi incontri erotici, virtuali o reali. L’amore si trasforma nel dramma di una menzogna che non si può più fermare e che costringe a costruire uno sdoppiamento, una sostituzione di persone. La causa dei divorzi, sembra poter essere individuata nelle difficoltà comunicative, negli attriti prolungati delle incomprensioni, nella incomunicabilità. Le rivalse dell’orgoglio ferito, la non sopportazione del carattere dell’altro, la non curanza delle esigenze reciproche, l’insensibilità di chi vive insieme e non si accorge dell’altro, il volere a ogni costo l’altro a propria misura, introducono gradualmente la mala solitudine che guasta la storia d’amore. Rivalità e competizione si insinuano nella coppia, come mai ci si sarebbe aspettati. Capita così di sentirsi più rilassati sul lavoro che in casa, più attrezzati a gestire i conflitti tra colleghi che quelli tra persone che si sono giurate un amore per tutta la vita. Si vive da scapoli sposati! Ma non si può vivere senza sognare, senza vitalità. Si cerca di rinverdire la propria vita con altre relazioni che per il momento possono appagare e fanno sentire vitali, freschi ed ossigenati, ma ciò che si perde è il senso delle cose belle, pulite, e nello stesso tempo straordinarie, che danno il senso della vera felicità e della gioia del vivere insieme. C’è la cultura di massa veicolata dai media che penetra e corrode le relazioni familiari, con i suoi messaggi intrisi di decadimento e banalizzazione del costume coniugale affettivo, con la mistificazione di vocaboli, facendo apparire buono ciò che non è buono. «Un agricoltore, il cui grano vinceva sempre il primo premio alla fiera regionale, aveva l’abitudine di dividere i semi migliori con tutti i contadini del vicinato. Quando gli chiesero il perché, rispose: “In realtà lo faccio per interesse. Il vento solleva il polline e lo trasporta da un campo all’altro. Perciò se i miei vicini coltivassero un grano di qualità inferiore, l’impollinazione impoverirebbe la qualità del mio raccolto. Ecco perché ci tengo che essi piantino solo i semi migliori”» (De Mello A., La preghiera della rana, vol. II, Paoline, Milano 1990, p. 221). Si è immersi in un contesto frammentato, pieno di sfiducia verso gli altri, in cui la persona non ama confrontarsi, cerca di vivere allegramente e in modo superficiale la vita, non si vuole riflettere sul senso da dare alla propria esistenza, non si valuta positivamente l’impegno a crescere e si preferisce vegetare. Mentre appare normale dedicare energie e sacrifici diuturni ed esigenti al lavoro, non appare normale e necessario dedicare tempo ed energie per relazionarsi e crescere.

 

di don Salvatore Rinaldi

Articolo di lunedì 4 marzo 2019

Rubrica "Fede e Società"

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