Adolescenza: trovare Dio è trovare se stessi

L’indifferenza è una caratteristica della nostra società. Anche nei confronti di Dio l’atteggiamento più diffuso è proprio la mancanza di presa di posizione. Gesù venne a Nàzaret, dove era cresciuto, e secondo il suo solito, di sabato, entrò nella sinagoga e si alzò a leggere. 

Gli fu dato il rotolo del profeta Isaia; aprì il rotolo e trovò il passo dove era scritto: Lo Spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha consacrato con l’unzione e mi ha mandato a portare ai poveri il lieto annuncio, a proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista; a rimettere in libertà gli oppressi, a proclamare l’anno di grazia del Signore. Riavvolse il rotolo, lo riconsegnò all’inserviente e sedette. Nella sinagoga, gli occhi di tutti erano fissi su di lui. Allora cominciò a dire loro: «Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato». Caro giovane fino a ieri forse non pregavi troppo e non andavi sempre in chiesa, ma Dio non era un problema e credere ti veniva spontaneo. «Rifare il pieno» a sedici anni vuol dire invece dare alla tua fede delle basi nuove, anzi incominciare forse per la prima volta a credere sul serio. Non c’è vera fede dove non ci si pongono domande. Carissimi se vogliamo cominciare a credere dobbiamo essere disposti a gettare sul piatto qualcosa di ciò che siamo e che abbiamo. Quindi se temi l’avventura, e hai paura degli imprevisti, la fede non fa per te. Se pensi che uno possa credere senza che nulla cambi nella sua vita, non farai il salto decisivo. Bisogna rompere qualche filo, imporsi un giro di pensieri nuovo, progettarsi in modo diverso. E prima di tutto bisogna ricuperare se stessi, perché viviamo troppo «fuori di noi» e siamo distratti o, se preferisci, siamo portati qua e là come burattini degli altri. «Noi non potremmo metterci alla ricerca di Dio se non sentissimo dentro di noi che lui ci sta cercando da sempre, anzi che ci ha già trovati, che lui crede in noi anche se noi abbiamo la sensazione di non credere in lui» (Archibald Joseph Cronin). La fede di chi trova nella pratica cristiana una vernice di perbenismo, ma poi non si lascia nemmeno sfiorare dalla fede vissuta e rifiuta le scelte scomode. È la fede di quegli adolescenti che pregano quando sentono puzza di esami o sono stati abbandonati dalla ragazza. Questa non può essere la tua fede: diventerebbe un modo di vivere superficiale e anche ipocrita. Logico che un adolescente maturi una fede più calibrata sulla sua nuova personalità. Un certo numero di adolescenti praticamente dichiara chiuso il discorso sulla fede, e sceglie un’altra strada. Dal momento che non vedono motivi sufficienti per credere, dicono basta a un «gioco inutile» ci mettono una pietra sopra: smettono di andare a messa, di pregare, di pensare che la loro vita sia una faccenda da dividere in qualche modo con quell’«Essere superiore» chiamato Dio. Qualcuno col tempo si darà forse alla parapsicologia, allo yoga, al buddismo, allo spiritismo. E c’è anche chi si farà di Dio un’idea personalissima, chi se lo inventerà tagliato sulla sua misura, a immagine e somiglianza di se stesso. Se si scava nella vita di tanti indifferenti, ci si convince che spesso hanno abbandonato una fede che non hanno mai conosciuto veramente. A volte facciamo di Dio una divinità astratta e lontana, un muro a cui è impossibile parlare. Non riusciamo a vederlo come una persona vivente, veramente vicina. Ogni volta troviamo ostacoli in noi stessi: abbiamo paura che Dio ci chieda troppo. Ad accettare gli altri, a capire che l’amore è importante, o ad impegnarci in qualche attività a favore dei poveri o del terzo mondo, con un po’ di buona volontà ce la facciamo. Ma è difficile giocare la propria vita per Dio, accoglierlo come un valore stabile, indiscusso. Ma fino a quando un adolescente non capisce che Dio è una realtà più grande di lui, che per incontrarlo deve entrare in un atteggiamento di disponibilità, di umiltà, di ricerca, non riuscirà a maturare alla fede. Chi ha fede non cerca di ridurre Dio alle proprie dimensioni, di incatenarlo, di metterlo al proprio servizio. La nostra intelligenza ci porta a Dio. Tutto ciò che esiste non si spiega da solo. I programmi del computer sono facilissimi e utili, ma qualcuno li ha pensati e realizzati. Chi ha fatto il «programma» del mondo? Eppure non si è cristiani se non ci si decide per Dio, se non si ha la certezza che Dio è vivo. Dio per me non è nulla se non scopro personalmente che è possibile tra noi due un rapporto personale.

 

di don Salvatore Rinaldi

Articolo di lunedì 20 Settembre 2021

Rubrica "Fede e Società"

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