Il desiderio naturale di vedere Dio 

«Dio si rivela all’uomo, si impegna per lui, amandolo e chiamandolo a partecipare alla sua vita divina» (Dei Verbum, 2). Agostino Porreca, in Come ad amici, afferma che «l’uomo è capace di accogliere la Rivelazione di Dio, è istituito come destinatario della Rivelazione, ne è un a-priori; se così non fosse, la Rivelazione rimarrebbe incompiuta, nel senso che non potrebbe raggiungere il suo effetto: la salvezza del destinatario [...] L’uomo è costitutivamente capace di Dio, capace di ricevere, accogliere e accedere alla Rivelazione divina, è essenzialmente capax Revelationis (“capace” della Rivelazione)». Il teologo gesuita Karl Rahner sostiene che nell’uomo c’è una radicale apertura che rappresenta la condizione di possibilità dell’ascolto della Parola divina. L’uomo è uditore della Parola, è desiderium naturale videndi Deum (desiderio naturale di vedere Dio). Rahner parla chiaramente di una capacità innata dell’uomo di guardarsi al di là della propria situazione, capacità questa che dimostra l’essere creati a dimensione della Parola di Dio. Così spiega Giovanni Mazzillo, in Dio sulle tracce dell’uomo: «Colui che intendeva comunicarsi a noi ci ha resi strutturalmente e costitutivamente ricettivi verso la Sua Parola. L’Amore che voleva chiamarci a sè ha messo in noi il richiamo forte e struggente dell’amore». L’uomo è apertura infinita del finito verso l’Infinito. Questa radicale apertura costituisce la condizione di possibilità della Rivelazione di Dio. Questo non vuol dire però in alcun modo che Dio sia vincolato e determinato a rivelarsi. L’evento della Rivelazione è la comunicazione, la donazione che Dio fa di sè all’uomo nella libertà più assoluta, ovvero gratuitamente e incondizionatamente. C’è poi una predisposizione creaturale dell’uomo all’ascolto della Parola di Dio che lo spinge alla ricerca della Verità. Porreca, nella sua opera sopra citata, ricorda che «l’uomo è cor inquietum (cuore inquieto), desiderio di infinito, mendicante del bello (pulchrum), del vero (verum), del bene (bonum). L’uomo, sebbene di polvere, è costitutivamente fatto per Dio, è intrinsecamente dotato di una misura di trascendenza, in lui c’è l’impronta indelebile del Creatore». Mazzillo, rifacendosi a Rahner, ribadisce: «Conserviamo come l’impronta originaria, quella che ci imparenta con Dio e pertanto in qualche maniera ne conserviamo la memoria. Siamo “memoria che cerca” (suchende memoria, diceva Rahner), ma non in maniera astratta. In realtà siamo memoria che cerca l’Amore, perchè veniamo dall’Amore e verso di esso inevitabilmente protendiamo». Anche il Catechismo della Chiesa Cattolica parla della capacità propria dell’uomo, di ogni uomo (non solo del cristiano) di ricevere, accogliere e accedere alla Rivelazione di Dio: «Il desiderio di Dio è inscritto nel cuore dell’uomo, perchè è stato creato da Dio e per Dio; e Dio non cessa di attirare a sè l’uomo e soltanto in Dio l’uomo troverà la verità e la felicità che cerca senza posa». Anche l’Enciclica Fides et Ratio di Giovanni Paolo II del 1998 si apre con il celebre e antichissimo invito “conosci te stesso”. E a tal proposito Francesco Testaferri, in Il tuo volto Signore io cerco, scrive: « “Conosci te stesso” è l’inizio del cammino verso la verità: nel momento in cui l’uomo conosce se stesso comincia a formulare le domande di fondo (chi sono? Da dove vengo? Dove vado? Perchè il male? Che ci sarà dopo questa vita?), le quali sono il segno universale (dal momento che appartengono all’uomo al di là della cultura, della religione e del tempo e dello spazio in cui vive)». Sempre Porreca, riguardo al “conosci te stesso” fa ben notare che «è un punto di partenza da cui scaturisce una ricerca che prepara l’uomo all’accoglienza e alla ricezione della Rivelazione di Dio. Sant’Agostino ha dato particolare forza al “conosci te stesso” con il suo noverim me, noverim te (mi conoscerò, ti conoscerò): la conoscenza di se stessi è ordinata alla conoscenza di Dio, il quale non è fuori della creatura, ma è interior intimo meo (nella parte più interna della mia intimità, più dentro in me della mia parte più interna)». Nell’incipit delle Confessioni, Sant’Agostino si esprime con queste parole: «L’uomo, una particella del tuo creato, vuole lodarti. Sei tu che lo stimoli a dilettarsi delle tue lodi, perchè ci hai fatti per te, e il nostro cuore non ha posa finchè non riposa in te». Romano Guardini, a commento di questo testo, scrive: «L’essere dell’uomo è irrevocabilmente un essere davanti a Dio [...]. Lodare Dio significa camminare nella verità, e ciò produce gioia, perchè la gioia è l’esperienza della verità compiuta. Vengono poi le parole immortali: “poichè Tu ci hai creati per Te, ed il nostro cuore è inquieto finchè non trova riposo in te”. In queste parole il concetto agostiniano tocca il fondo [...]. Egli non è completo in se stesso: è chiamato ad andare a Dio, ma solo se va a Dio trova di fronte a Lui il suo essere specifico e la pace della sua verità. Questa è la legge della sua esistenza, e ne dà testimonianza una inquietudine profonda che non scompare mai». Molte volte Papa Bendetto XVI ha richiamato quell’insopprimibile inquietudine che spinge l’uomo alla ricerca di qualcosa che soddisfi il suo anelito di pienezza, sottolineando che solo l’Infinito può riempire il cuore dell’uomo. Nell’omelia del 6 gennaio 2012 così papa Ratzinger parla dell’incontro tra il cor inquietum (cuore inquieto) dell’uomo e quello di Dio: «Il cuore inquieto, di cui abbiamo parlato riferendoci a Sant’Agostino, è il cuore che, in fin dei conti, non si accontenta di niente che sia meno di Dio e, proprio così, diventa un cuore che ama. Il nostro cuore è inquieto verso Dio e rimane tale, anche se oggi, con “narcotici” molto efficaci, si cerca di liberare l’uomo da questa inquietudine. Ma non soltanto noi esseri umani  siamo inquieti in relazione a Dio. Il cuore di Dio è inquieto in relazione all’uomo. Dio attende noi. Anche Lui non è tranquillo, finchè non ci abbia trovato. Il cuore di Dio è inquieto, e per questo è incamminato verso di noi – verso Betlemme, verso il Calvario, da Gerusalemme alla Galilea e fino ai confini del mondo. Dio è inquieto verso di noi, è in ricerca di persone che si lasciano contagiare dalla sua inquietudine, dalla sua passione per noi. Persone che portano in sè la ricerca che è nel loro cuore  e, al contempo, si lasciano toccare nel cuore dalla ricerca di Dio verso di noi». Anche l’Esortazione Apostolica Verbum Domini di Benedetto XVI del 2010 riprende il concetto dell’uomo “capace” di Dio e della Sua Parola: «Mediante questo dono del suo amore (il riferimento è alla Rivelazione) Egli, superando ogni distanza, ci rende veramente suoi “partner”, così da realizzare il mistero nuziale dell’amore tra Cristo e la Chiesa. In questa visione ogni uomo appare desiderato dalla Parola, interpellato e chiamato ad entrare in tale dialogo d’amore con una risposta libera. Ciascuno di noi è reso così da Dio capax (“capace”) di ascoltare e rispondere alla divina Parola. L’uomo è creato nella Parola e vive in essa; egli non può capire se stesso se non si apre a questo dialogo. La Parola di Dio rivela la natura filiale e relazionale della nostra vita. Siamo davvero chiamati per grazia a conformarci a Cristo, il Figlio del Padre, ed essere trasformati in Lui». Porreca sintetizza questi concetti affermando che «l’uomo è destinatario della Parola, interpellato e chiamato a una relazione di amore con Dio, capace di ascoltare e rispondere alla Parola, creato nella Parola, la cui natura è rivelata dalla Parola di Dio come natura filiale e relazionale». Salvador Pié-Ninot, ne La teologia fondamentale scrive che: «Se riconosciamo l’apertura decisiva dell’uomo e la sua capacità fondamentale per ricevere la possibilità della Rivelazione di Dio, essa non si presenterà a noi come qualcosa di estraneo o di alieno, bensì come realizzazione piena e totale della vita umana, come l’orizzonte verso il quale la persona umana tende a tentoni (At 17,27)». Per concludere è possibile sostenere: «Io so che il mondo esiste. Che io sono in esso [...]. So che in esso c’è qualcosa di problematico, che noi chiamiamo “senso”. Che questo senso non si trova in esso, ma fuori di esso... Credere in Dio significa vedere che non tutto si può restringere alla realtà del mondo visibile. Credere in Dio significa vedere che la vita ha un senso» (Ludwig Josef Johann Wittgenstein in Quaderni 1914-1916).

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