Si può essere genitori perfetti?

Si tratta di un compito e di ruoli tutti da inventare, dando per scontato che incontreremo difficoltà, incidenti di percorso e anche sconfitte. Non si tratta, però, di applicare chissà quale manuale dei perfetti genitori, semplicemente perché è impossibile, una specie di imbroglio. Anzi, la regola fondamentale per affrontare il mestiere di genitore è che: non esistono in natura bravi genitori, ma soltanto genitori sufficientemente buoni.

Se pensassimo di non commettere mai errori, di essere genitori perfetti che cresceranno figli altrettanto perfetti, andremmo soltanto incontro a frustrazioni e delusioni e alla fine, probabilmente, finiremo per rinunciare, magari dando la colpa a noi stessi, a nostro figlio o alla società. Non bisogna cercare di diventare genitori perfetti, né tanto meno sperare che perfetti siano, o lo diventino, i nostri figli.

La perfezione è un concetto piuttosto malsano, certamente non è alla portata di noi normali esseri umani. L'accanimento nel tentativo inutile di raggiungerla può essere un ostacolo importante a un atteggiamento di tolleranza verso le imperfezioni altrui, comprese quelle dei nostri figli, che contribuisce a rendere possibili rapporti umani decenti. Tutto quello che possiamo fare è cercare di non commettere errori evidenti, di non cadere nelle trappole più pericolose: c'è una differenza sostanziale tra il disastro educativo e il cercare di diventare genitori passabili.

Alcuni bambini sono cresciuti con adulti emotivamente assenti, magari perché molto impegnati nelle attività lavorative o impantanati in difficoltà personali/di coppia che non riuscivano a risolvere. La traccia che può rimanere in questi bambini, quando diventano adulti, è la convinzione di non poter chiedere aiuto né appoggiarsi a qualcun altro nei momenti di difficoltà: hanno più volte sperimentato che, se ci provano, rischiano di cadere nel vuoto perché l'altro è in altre faccende affaccendato.

Quando questi bambini provano a diventare a loro volta genitori, investendo in certi casi in modo eccessivo nel loro nuovo ruolo, spesso assumono un comportamento opposto, provando a diventare molto disponibili e vicini ai figli. Tendono però a vederli come più bisognosi e meno capaci di affrontare le loro difficoltà di quello che sono in realtà. Affrontano le difficoltà reali ma non così imponenti di loro figlio, tendendo a proporsi come iperprotettivi, fino al punto di sostituirsi a lui nelle situazioni che percepiscono come pericolose o eccessivamente faticose.

Uno scenario ancora peggiore può verificarsi quando, nella relazione con il figlio, il genitore cerca di redimersi dall'antica colpa di essere stato un bambino cattivo o un'adolescente insopportabile. Quando questi bambini diventano a loro volta genitori, potrebbero allevare i loro figli educandoli a diventare dei piccoli aggressivi, le cui intemperanze, che possono arrivare anche alla violenza fisica, saranno pazientemente sopportate da papà e mamma.

Stabilire dei "no" chiari è un passaggio necessario nella costruzione di una relazione sufficientemente buona con un figlio, principalmente perché questa scelta permette al bambino di sentirsi una persona separata dai suoi genitori e nello stesso tempo contenuto nella sua rabbia. Naturalmente, se gli diciamo dei no, non possiamo immaginarci che nostro figlio sia contento e ci ringrazi ma, se non riusciamo a stabilire questi confini, il danno che subisce è di essere trasformato in un bambino solo, perché gli adulti intorno a lui ne sono spaventati e lo temono invece di proteggerlo.

Incontriamo genitori che sono cresciuti in famiglie con adulti che li maltrattavano, violenti nei comportamenti e nelle parole. In questa realtà, un bambino non ha modo di protestare ed è costretto a vivere in una condizione di impotenza. L'unica possibilità concreta che egli rimane per sopravvivere è quella di darsi la colpa: i genitori non vorrebbero usargli violenza ma sono costretti a farlo, perché lui, la vittima, si comporta troppo male, non ne fa mai una giusta.

Il problema può diventare molto serio perché difficilmente questi bambini, una volta cresciuti, metteranno in discussione il comportamento dei loro genitori e rifletteranno sulla violenza che hanno subito: tenderanno a riproporla nella relazione con il proprio figlio, che verrà percepito come "quello da raddrizzare" per adeguarlo a un modello, normalmente assai nebuloso, che il genitore ha in testa. L'emozione che struttura la relazione può diventare a questo punto la paura, in forma attiva o passiva: mio figlio avrà paura di me e anch'io, più o meno consapevolmente, avrò paura di lui e continuerò a considerarlo sbagliato.

 

 

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