Il pane di ogni giorno

L’atteggiamento abituale di Gesù: lasciarsi avvicinare da quelli che avevano un comportamento pubblicamente peccaminoso e osare addirittura condividere con loro la tavola. Gesù sapeva cosa si diceva di lui: “Ecco un mangione e un beone, un amico di pubblicani e di peccatori!” (Lc 7,34; Mt 11,19) Mangiare insieme significava celebrare una comunione con Dio, vivere un’amicizia con quelli che sedevano alla stessa tavola. Si trattava di spezzare il pane insieme, facendo dell’altro un compagno (cum-panis), onorandolo e mostrandogli simpatia, attenzione. Ecco perché mangiare con persone impure e peccatori manifesti era considerato un sacrilegio. “Si instaura così un duplice movimento: Gesù cerca i peccatori e i peccatori cercano lui” Grazie a Gesù, il Dio che gli uomini religiosi a volte rendono “perverso” diventa dunque buona notizia, Vangelo. Gesù Messia? Un “Messia al contrario”, perché non punisce i peccatori, non li castiga, non li forza né li induce alla conversione con un giudizio di condanna o con un atteggiamento di rigetto e di presa di distanza da loro. Al contrario, sembra ben disposto e pieno di attenzione per le persone meno stimate dalla società religiosa, nutre cordiale simpatia per le prostitute e non disdegna di averle al suo seguito tra quelle che lo frequentano e lo ascoltano. Gesù, figlio di Israele, chiamava Dio “Abinu”, “Padre nostro”, nella preghiera liturgica cui era assiduo, ma secondo la testimonianza evangelica lo chiamava anche “Abba” (Mc 14,36), Papà, invocazione confidenziale. Per lui Dio era il Padre che dà la vita, chiama, educa, guida con amore ogni figlio del popolo santo. Anche per lui Dio era invisibile, ma il suo ascolto delle sante Scritture, la liturgia del tempio e della sinagoga, la tradizione dei padri lo abilitavano a parlare di Dio, con discrezione, in modo essenziale, e Gesù lo faceva soprattutto con l’intenzione di dare un volto al Dio mai visto. Questa era la sua vocazione, la chiamata del Padre che lo aveva voluto uomo e , donandolo all’umanità, lo aveva voluto come un uomo che da lui solo poteva venire, che non poteva nascere da “carne e sangue umani” (cfr. Gv 1,13). Non si ripeterà mai abbastanza che Gesù era un uomo, uno di noi, un umano in una folla umana, e che in questa sua vita umana di poco più di trent’ anni egli ha cercato in tutto, obbedendo alla sua vocazione, di alzare il velo sul volto di Dio, di ri-velarlo. Egli, infatti, sapeva che il volto di Dio era stato non solo deturpato ma pervertito dagli uomini, troppo inclini a fabbricarselo, a renderlo un manufatto, proiettando su di lui le proprie aspirazioni e i propri progetti. “L’idolatria non è innanzitutto un errore teologico ma è invece un errore antropologico”, perché l’idolo, cioè il falso dio, è talmente seducente per gli uomini tutti. Così Dio era spesso caricaturato con il volto di un “Dio perverso” da parte degli stessi uomini religiosi, proprio quelli che si sentivano in qualche modo muniti dalla funzione di mediazione o addirittura di rappresentanza di Dio nei confronti degli uomini. Combattendo contro queste immagini perverse di Dio, Gesù ha meritato l’accusa di “avere bestemmiato” (cfr. Mt 26,65; Mc 14,64). Ecco il conflitto che ha portato Gesù “alla morte e alla morte di croce” (Fil 2,8), un conflitto sul volto di Dio! Gesù in verità non predicava “un altro Dio”, il suo Dio era il Dio del suo popolo, ma egli ne aveva un’altra conoscenza: un Dio che “non fa preferenza di persone” (At 10,34), un Dio che non castiga mai l’uomo finché egli vive sulla terra, un Dio che provoca alla libertà, un Dio che ha fiducia in ogni uomo, un Dio che perdona anche chi non lo merita. In una parola un Dio che sembra “un Dio al contrario”: un servo, non un dominatore; un povero, non un ricco; un infimo, non un altissimo; un Dio che ci prega mettendosi in ginocchio davanti a noi. Gesù chiedeva dunque alle folle, a quanti lo ascoltavano, ai discepoli di cambiare la loro immagine di Dio, per liberarli dalla paura e dall’angoscia della morte, per far crescere in loro la fiducia, per spronarli con il suo amore ad amarsi gli uni gli altri, reciprocamente (cfr. Gv 13,34; 15,12). Per Gesù l’amore verso Dio si identificava con l’amore per il prossimo, la sua vita offerta a Dio diventava vita spesa per gli uomini. Se il Vangelo secondo Giovanni ha potuto mettere sulla bocca di Gesù, in risposta a Filippo che gli chiedeva di vedere il Padre, Dio, queste parole: “Filippo, chi ha visto me, ha visto il Padre” (Gv 14,9), è perché Gesù ha sempre voluto e saputo mostrare ciò che lui era, il Figlio di Dio nel mondo.

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