Statio Quaresimalis nella Concattedrale di Venafro 

Tempo di Quaresima: il deserto, luogo di tentazione e immensa presenza di Dio

Lo scorso 14 febbraio, I Domenica di Quaresima, la forania di Venafro ha vissuto momenti di profondo raccoglimento e di intensa spiritualità con la Celebrazione Eucaristica presieduta dal Vescovo Camillo Cibotti nella Concattedrale di Santa Maria Assunta in Cielo.

Il maltempo ha impedito lo svolgimento della Liturgia Stazionale (la cui partenza era prevista nella chiesa di San Francesco per poi giungere penitenzialmente nella Concattedrale), ma non ha scoraggiato centinaia di fedeli a partecipare alla Celebrazione Eucaristica, animata magistralmente dalla Schola Cantorum della parrocchia di San Giovanni in Platea con la partecipazione di alcuni componenti del coro della parrocchia di San Giovanni Bosco in Roccapipirozzi. Erano presenti alla Celebrazione Eucaristica il Vicario foraneo di Venafro e altri parroci e diaconi della diocesi, i quali si trovavano in città, presso il convento cappuccino di San Nicandro, per il mensile ritiro spirituale. Hanno partecipato alla celebrazione i ministri istituiti, i ministranti, i lettori, gli accoliti della parrocchia di San Giovanni in Platea e di altre parrocchie della forania, nonché il Gruppo Scout “Venafro 4”, i bambini del catechismo e i ragazzi della pastorale giovanile della parrocchia di San Giovanni in Platea.

Monsignor Camillo Cibotti, nella sua omelia, partendo dalla liturgia della Parola del Mercoledì delle Ceneri, cita l’evangelista Matteo che «faceva riecheggiare la parola stessa di Gesù raccomandando la preghiera, il digiuno, l’elemosina come strumenti per piacere a Dio e per rivedere e, metodologicamente, maturare un serio cammino di identificazione in Cristo». Un tempo quaresimale che, come ha spiegato il vescovo, deve prepararci ad un’attenta e seria conversione, sperimentando il dono della provvidenza, soprattutto in questo anno di grazia e di misericordia.

Un cammino di conversione che Monsignor Camillo Cibotti accosta alla prima lettura della liturgia domenicale dal libro del Deuteronomio, nella quale possiamo sperimentare «quanto sia vero il nostro dipendere costantemente e totalmente da Dio». Nella lettura il Signore riconosce e legittima come suo il popolo di Israele, liberandolo dalla schiavitù dell’Egitto e concedendoli una propria terra dopo aver attraversato il deserto. Dio riconosce e avvicina a se la storia del popolo ebreo ed è questo il motivo che porta Israele a deporre davanti al Signore le primizie del suo raccolto, segno di gratitudine e di appartenenza a Dio.

Parole di conforto e di sostegno riecheggiano anche nel salmo “Resta con noi, Signore, nell’ora della prova” perché – continua in nostro Pastore – «tu Signore mi hai accompagnato dal momento del battesimo, anche a me hai permesso di varcare il deserto, il mar Rosso, entrare nella Terra Promessa, cioè mi hai svezzato, mi hai fatto crescere, maturare, non mi abbandonare in questo momento di prova». Il deserto della Quaresima è un momento di prova e di tentazioni ma il Signore ci rassicura in ogni momento con la sua presenza: «nell’angoscia io sarò con te, ti libererò, ti renderò glorioso».

Continuando la meditazione, il vescovo si è soffermato sulla lettera di San Paolo Apostolo ai Romani sottolineando che «è la vita che deve proclamare questa [nostra] fede forte e sicura in Dio…Dio è nostro Dio e noi siamo il suo popolo». Non basta la parola, non basta essere cristiani ma bisogna concretamente agire nella consapevolezza di vivere in Cristo. Monsignor Cibotti sottolinea questo concetto di deserto affermando che viene spesso erroneamente considerato come luogo di tentazioni e di prove, luogo di sofferenza e dolore. Sicuramente lo è, ma il nostro Pastore ci ricorda che «non è solo il luogo ma è [anche] il modo, la tecnica che usa Dio per rivelarsi, è il silenzio della contemplazione». Un deserto in cui è presente la Trinità: Padre, Figlio e Spirito Santo. Gesù, nel deserto, è infatti guidato dallo Spirito Santo verso il Padre. Ma «non dobbiamo dimenticare che Gesù è vero Dio, vero Uomo»; anche Gesù è stato tentato dal diavolo nel deserto, nel momento del digiuno. Queste tentazioni dell’avversario non sono altro che le prove che l’umanità deve essere in grado di superare con la presenza di Dio. Un’umanità che «spesso non ricorda e viene meno nella fiducia che Dio vince il male, è più potente del male». E il digiuno rappresenta questa volontà di purificazione e allontanamento dal male e dal peccato.

Nella seconda tentazione il nostro Pastore ci introduce verso un nuovo tema: l’essere in alto. Il diavolo porta Gesù in alto per far vedere i regni della Terra. Monsignor Cibotti spiega come questo essere in alto rappresenti la sete di potere, di eccellere, di dominare, sopraffare, risultare migliori degli altri; cosa spesso presente in ognuno di noi. Da qui la riflessione: «come si fa a pensare di essere disponibili per gli altri se si pensa solo a se stessi? Come si fa a dare agli altri qualcosa che voglio solo per me?»

Nella terza tentazione ritorna il tema dell’essere in alto, più precisamente l’essere nel punto più alto del tempio ed è esplicito il riferimento il nostro vescovo Cibotti fa al mondo del clero: «anche questa è una tentazione: vedere la nostra religiosità al di sopra di tutti. E’ un rischio anche per noi [appartenenti al clero] sentirci all’apice di una religiosità quasi a giustificarci per le nostre inadempienze. Come se questa posizione annullasse ogni nostro difetto o limite». E prosegue spiegando che «il cammino quaresimale si addice ad una revisione della nostra vita per accoglierla pur con le sue problematiche, senza vederla come un impedimento ma come luogo dove manifestare la nostra fede». La Quaresima deve rappresentare un momento di «ulteriore cammino e progresso»; nel deserto ci sono le tentazioni, le prove, le sofferenze, il dolore e la malattia, ma c’è anche l’immensa presenza di Dio che ci accompagna e ci sostiene in questi momenti.

Monsignor Camillo Cibotti conclude invitandoci a sperimentare la vera essenza di questo periodo quaresimale, incoraggiando tutti i fedeli presenti con queste parole cariche di speranza e tenerezza: «all’Università dell’amore di Dio dobbiamo ricevere la laurea più importante, quella di credere profondamente in Lui, nella vita e con la vita, in un’attestazione di fiducia che è abbandono totale in Lui».

 Vincenzo D’Ottavio

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