Il "fallimento" nell'età giovanile

 

La famiglia contemporanea ci appare senza centro di gravità, stratificata, disordinata, priva di nucleo e incline ad assumere le organizzazioni più diverse: adozioni, aumento delle separazioni coniugali e delle relative stratificazioni multiple dei legami tra diversi gruppi familiari, gravidanza affidata a una persona esterna alla coppia, famiglia monogenitoriale, adozioni nelle coppie omosessuali, inseminazione artificiale sono tutti fenomeni ipermoderni che hanno smembrato il modello della cellula familiare occidentale. La famiglia composta da una coppia etero-sessuale, con un figlio, istituita dal legame matrimoniale e destinata a durare una vita non è più un modello sufficiente per descrivere la configurazione attuale del legame familiare. Se la famiglia come istituzione culturale è soggetta alla storia e alle sue trasformazioni, la sua funzione educativa però non viene meno perché è al legame familiare che è destinata l’accoglienza della vita e la sua umanizzazione. La vita non è sopraffazione, non è lotta per il trionfo del più forte, non è violenza cieca. La vita è dedizione, cura, presenza. La dedizione di un padre a un figlio. L’amore non è amore della vita, non è amore per il mondo. L’amore è amore del nome, è amore per un nome proprio, per il più particolare, è amore di un padre per un figlio. Non è mai amore per l’universale. Il problema che contraddistingue il nostro tempo consiste nel come riuscire a preservare la funzione educativa propria del legame familiare di fronte a una crisi sempre più radicale e generalizzata del discorso educativo. Mi soffermo su due grandi nuove angosce dei genitori di oggi. La prima è relativa all’esigenza di sentirsi amati dai loro figli. Non sono più i figli che domandano di essere riconosciuti dai loro genitori, ma sono i genitori che domandano di essere riconosciuti dai loro figli. In questo modo la dissimmetria generazionale viene ribaltata. Per risultare amabili è necessario dire sempre “Sì!”. La seconda grande angoscia dei genitori di oggi è quella legata al principio di prestazione. Lo scacco, l’insuccesso, il fallimento dei propri figli sono sempre meno tollerati. Di fronte all’ostacolo la famiglia ipermoderna si mobilita, più o meno compattamente, per rimuoverlo senza dare il giusto tempo al figlio di farne esperienza. Le attese narcisistiche dei genitori rifiutano di misurarsi con questo limite attribuendo ai figli progetti di realizzazione obbligatoria. Ma, come ha scritto Sartre, se i genitori hanno dei progetti per i loro figli, i figli avranno immancabilmente dei destini… e quasi mai felici. Avere un figlio senza difetti, capace di prestazione, riflette le angosce narcisistiche dei genitori. Il fallimento della trasmissione può essere legato a un’esigenza di clonazione, di immedesimazione nel proprio discendente, di ripetizione dello stesso destino. I genitori di oggi sono terrorizzati dalla possibilità che l’imperfezione possa perturbare l’apparizione del loro figlio come ideale.  E’ un nuovo mito della nostra civiltà: dare ai figli tutto per poter essere amati; coltivare il loro essere come capace di prestazione per scongiurare l’esperienza del fallimento. Ne consegue che i nostri giovani non sopportano più lo scacco perché a non sopportarlo sono innanzitutto i loro genitori. Il fallimento non è solo insuccesso, sconfitta, sbandamento. O meglio, è tutto questo: insuccesso, sconfitta e sbandamento, ma è anche il suo rovescio. Il fallimento è proprio del funzionamento dell’ inconscio. La sua definizione di atto mancato è tutta un programma. Il fallimento è uno zoppicamento salutare dell’ efficienza della prestazione. E, in questo senso, la giovinezza è il tempo del fallimento o, meglio, è il tempo dove il fallimento dovrebbe essere consentito. E’ quel tempo che esige il tempo del fallimento, dell’errore, dell’erranza, della perdita, della sconfitta, del ripensamento, del dubbio, dell’indecisione, delle decisioni sbagliate, degli entusiasmi che si dissolvono e si convertono in delusioni… del tradimento e dell’innamoramento… I giovani sono esposti al fallimento perché la via autentica della formazione è la via del fallimento. E’ il fratello più giovane che, nella celebre parabola evangelica, chiede al padre la sua parte di eredità in anticipo per dissiparla nel godimento più ottuso. C’è sempre nel cammino di una vita una caduta da cavallo, un incontro con la terra, una faccia a faccia con lo spigolo duro del reale. In questo senso i giovani sono più esposti alla malattia dell’inconscio. Perché ci sia incontro con la verità del desiderio è necessario smarrirsi, fallire, perdersi. Chi non si è mai perduto non sa cosa sia ritrovarsi… I giovani sanno perdersi come nessun altro… Sanno perdersi e ritrovarsi… Ma è fondamentale la presenza degli adulti perché questo avvenga. Sono necessari una casa, un legame, un’ appartenenza perché l’erranza dia i suoi frutti. E’ necessario che i genitori sappiano tollerare le angosce di questo andirivieni.

 

 

 

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