Un nuovo territorio

Possiamo davvero entrare in relazione con Gesù in modo simile a quello di coloro che lo hanno incontrato duemila anni fa? «L’umanesimo cristiano che siamo chiamati a vivere afferma radicalmente la dignità di ogni persona come figlio di Dio, stabilisce tra ogni essere umano una fondamentale fraternità, insegna a comprendere il lavoro, ad abitare il creato come casa comune, fornisce ragioni per l’allegria e l’umorismo, anche nel mezzo di una vita tante volte molto dura»(Papa Francesco). Papa Francesco precisa: è la contemplazione del volto di Gesù morto e risorto che ricompone la nostra umanità, anche di quella frammentata per le fatiche della vita, o segnata dal peccato. Non dobbiamo addomesticare la potenza del volto do Cristo. Il volto è l’immagine della sua trascendenza. Lasciamoci guardare da Lui. Gesù è il nostro umanesimo. Facciamoci inquietare sempre dalla sua domanda: «Voi, chi dite che io sia?» (Mt 16,15). Da come si risponde a questo interrogativo derivano conseguenze esistenziali come la sequela, l’indifferenza, l’opposizione. Gesù ha fatto l’esperienza di reciprocità incontrando volti, toccando cuori, accostando corpi. Il Dio che Gesù rende vivo non è un Dio che pone esigenze e pretese da soddisfare in ogni modo, creando estenuante ansia e timore, è un Dio che si manifesta in due atteggiamenti costruttivi e positivi: la compassione per ogni sua creatura e la promozione della giustizia che crei spazio e dignità per tutti. L’amore di Dio per ciascuno include la sua tristezza e ira per ogni cecità, ingiustizia e idolatria che lacera l’umanità. Gesù non incarna solo l’icona di Dio ma anche un’idea di vita perché sia seguita e attualizzata dal “discepolo”. Il discepolo è colui che “va dietro”, “imita Cristo”, prolunga la sua stessa esperienza. Le caratteristiche essenziali che ogni discepolo prende da Gesù sono la relazione di intimità con Dio, per cui lo sente e lo chiama Abba’; la capacità di dare se stesso e la propria vita. Questo crea la vera alternativa al mondo che è autoreferente, aggressivo e timoroso di perdersi. Il darsi è invece evangelicamente la vera risorsa e salvezza del vivere. La sua qualità mimetica è la compassione, il sentirsi con gli altri, un sentire che muove all'azione e costruisce il mondo. La compassione non è una realizzazione ma una grazia perché è uno svuotarsi di sé e un riempirsi di Spirito e produrre i “frutti dello Spirito”. La nuova cultura si realizza tramite l’attivazione di rapporti interumani autentici e comunità ecclesiale che sia segno di una nuova società. La “chiesa” è fatta per promuovere un uomo nuovo fatto di compassione e di visione. Il principio di inclusione e non di esclusione, si organizza intorno al sostegno alla vita; mescola il senso del realismo con la visione dell’ideale. Evidenzia che la fede non è una questione dottrinale, che Spirito non è una questione solo dell’anima, che chiesa non è burocrazia religiosa ma il progetto di una nuova comunità. Gesù viene da una società compatta e legata a un territorio, ma ciò che veramente conta è come egli si è posto davanti ad essa. Non si è appiattito sugli usi che ha conosciuto negli anni della sua vita privata; li ha abbandonati, li ha ripensati, li ha trasformati. I Vangeli ce lo presentano passando di “casa in casa”, “in via”; uno che va e chiama a seguirlo in luoghi non definiti, in “zone di possibilità” inesplorate. Nella sua prassi Gesù non agisce secondo il modello del maschio “super” o “iper”, ma egli abita e costruisce un altro spazio, un non-luogo e seguirlo significava abbandonare lo spazio maschilmente determinato ed entrare in questo spazio alternativo dove i ruoli anche di genere non avevano più la stessa identità, ma accetta le differenze come base per la premura, il rispetto, l’interdipendenza, l’onestà. Cammina verso un nuovo territorio senza stabilire gerarchie di potere e di genere. Il risultato non è la confusione bensì la creazione di un nuovo spazio chiaramente contornato, un nuovo modo di famiglia definito, attorno a una tavola “fuori degli spazi consueti”, dove si è in modo originale “fratelli” e “sorelle” e “madri”. Gesù ha più “seguaci” che “discepoli” perché chiede loro di seguirlo e non offre loro un luogo dove insegnare, un programma da svolgere, come tanti maestri del suo tempo. I Dodici rappresentano fra i discepoli il nodo più vicino a Gesù. Essi sono scelti liberamente da Gesù senza un apparente criterio. Sono definiti variamente, in base a legami di parentela (fratello di… o figli di…) o all'appartenenza sociale e Guida per il fatto di aver tradito Gesù. La loro costituzione rivela molto dei progetti di Gesù: costituire un nuovo Israele, attraverso «una palingenesi e un riassetto totale di questo mondo», preceduta da un giudizio svolto dagli stessi Dodici (Lc 22,29-30 cf. Mt 19,28). Rispetto agli altri discepoli essi rappresentano un gruppo comunque privilegiato e un livello organizzativo più stringente della semplice aggregazione volontaria. Essi hanno potere rappresentativo e libertà d’azione, in quanto itineranti sradicati; ma è il legame diretto con Gesù che li caratterizza e li costituisce come gruppo forte, mancando ogni altra caratteristica che ne garantisca una tenuta: unità di residenza, di lavoro, di risorse condivise. Gesù ha cercato e creduto nelle persone; con esse ha cercato un incontro frontale e diretto. Per questo egli ha parlato e non scritto, perché lo scritto isola e rende le relazioni pensate ma non vive. Seguendo le persone vive che aveva di fronte egli si è piegato a situazioni individuali, sociali e politiche assai diverse. Nelle relazioni Gesù allunga la via nel senso che non dimentica la propria ma non passa senza prendersi cura e aver compassione di chi incontra. Nella relazione Gesù costruisce una cultura alternativa, basata sullo Spirito, quello che parte della profondità di Dio e arriva alla profondità umana promuovendo libertà, amore e comunità. Se lo Spirito è l’energia, solo le relazioni ne sono il canale e la cultura l’espansione al mondo umanizzato. Nelle relazioni Gesù costruisce una corporeità che non ripete e conferma i ruoli stabiliti, ma varia nel concreto da persona a persona e crea una libertà interiore ed esteriore che permette anche alla sessualità di essere reinventata personalmente.

 

Don Salvatore Rinaldi

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