L’essere umano è, allo stesso tempo, corpo e spirito, è parola e gesto, diviene e si trasforma nel tempo pur restando un unico individuo, è solitudine e relazione, è maschio e femmina. Al di fuori di queste determinazioni, l’esperienza umana semplicemente non si dà.
Il bene della persona è di essere nella Verità e di fare la Verità» (Giovanni Paolo II, Veritatis Splendor, 84). La prima parola di Dio all’uomo e sull’uomo è proprio il dono del corpo: non un corpo muto, ma un corpo parlante per il solo fatto di essere stato posto nel mondo, un corpo creato per essere interlocutore del suo Creatore, creato per essere risposta. Alla luce di questa considerazione, la forma del corpo non è più soltanto la vaga possibilità di esserci, ma esprime la chiamata di Dio al dialogo con lui e contiene in sé la grammatica e la sintassi necessarie per impostare la nostra risposta: «Dio creò l’uomo a sua immagine; a immagine di Dio lo creò: maschio e femmina li creò». Se l’autore di ogni corpo vivente è Dio, allora in ogni corpo, con tutte le sue singole caratteristiche psicologiche e somatiche, non è inscritto semplicemente un destino, ma un progetto, una vocazione, che attende di essere drammaticamente realizzata grazie alla nostra stessa collaborazione. E la differenza sessuale, inscritta in quel corpo, è parte integrante di questa chiamata. Così inizia la storia della nostra salvezza. La sfida sta, allora, nel saper riconoscere e ostendere la bellezza della differenza sessuale che, come autentica verità dell’uomo, si rivela proprio nella storia, di generazione in generazione. Ciò sarà possibile a patto che ci impegniamo a liberarci dal pregiudizio moderno che ci spinge a considerare la realtà come un’accozzaglia di fatti bruti, per imparare a guardare sempre e di nuovo alla nostra esperienza del venire e dello stare al mondo nella sua intima dimensione simbolica. La differenza sessuale caratterizza l’esistenza umana nella sua totalità, attraversando e trascendendo gli stereotipi tradizionali. E’ sotto gli occhi di tutti, gli studi di antropologia culturale lo documentano abbondantemente, il fatto che tutte le culture riconoscono, anche se con accenti diversi, l’evidenza della differenza sessuale. Qui non si intende dire che in tutte le culture la mascolinità e la femminilità siano espresse nello stesso modo. Al contrario, vi possono essere differenze anche molto significative, di fronte alle quali è necessario ammettere che anche la cultura concorre all’assunzione personale dell’identità sessuale. Tuttavia, vi è almeno una costante: tutte le culture elaborano in qualche modo e tendono a istituzionalizzare la differenza sessuale, questo a partire dall’attribuzione del nome al momento della nascita, dalle differenze nell’abbigliamento e nella cura del corpo. Per una coppia di genitori, il tempo della gravidanza è tempo di attesa e di attese. Il bimbo c’è già, ma è custodito gelosamente all’interno del grembo materno e nessuno dei due può vederlo né toccarlo. La madre lo sente crescere in sé, ne sente la presenza, eppure non può dire nulla ancora del suo piccolo, non conosce il colore dei suoi occhi, né dei suoi capelli, non conosce il suo carattere, i suoi desideri, i suoi gusti. Certamente l’ecografia, ed eventualmente altre analisi prenatali, permettono alla mamma e al papà di assicurarsi che tutto sia a posto, che il loro piccolo sia un bambino normale, uno come tutti gli altri. Per l’appunto: un bambino tra tanti. Finalmente, intorno alla sedicesima settimana di gestazione, è possibile cogliere un primo segno di distinzione, un particolare che permetterà ai genitori di poter dire: «il nostro bambini è…». Questo dettaglio è proprio il sesso. Questa scoperta permette ai genitori di cominciare ad operare delle scelte per il futuro del piccolo. Prima tra tutte, la scelta del nome: scelta impegnativa poiché il nome, così come il sesso, resterà a identificare il nascituro per tutto il corso della sua vita. Il valore discriminante del sesso è confermato al momento della nascita. E’ dunque necessario considerare che le differenze biologiche costituiscono un fatto indiscutibile, a cominciare dalla configurazione dei genitali, ma non solo: il sistema ormonale, che è diverso nell’uomo e nella donna, segna con il marchio della differenza sessuale tutto l’organismo umano. In età puberale, lo sviluppo sessuale segue modalità e ritmi talmente diversi nel maschio e nella femmina da rendere abbastanza complessa la condivisione reciproca di tale esperienza. Se infatti, teniamo per vero che l’essere umano realizza compiutamente la propria interiorità soltanto in strettissima comunione con l’esteriorità con cui essa è intrecciata, dobbiamo anche ritenere che «non solo il corpo è strutturato in modo diverso, non sono differenti solo alcune funzioni fisiologiche particolari, ma tutta la vita del corpo è diversa, il rapporto dell’anima col corpo è differente, e nell’anima stessa è diverso il rapporto dello spirito alla sensibilità, come il rapporto delle potenze spirituali tra di loro» (E. Stein, Problemi dell’educazione della donna, id. La donna, Città Nuova, Roma 1998, 204). Molto in generale, possiamo affermare che le donne tendono a esprimere se stesse nell’accoglienza dell’altro e nel prendersi cura, prediligendo l’attenzione al particolare e alle relazioni interpersonali. L’uomo, dall’altra parte, tende ad esprimersi nel mondo trasformandolo con le sue mani, procede per obiettivi precisi e non ama perdersi nei particolari. Anche per quanto riguarda gli aspetti negativi, vi sono delle tendenze specifiche. Se la donna rischia di ripiegarsi su se stessa e di essere eccessivamente possessiva, l’uomo può spesso accedere nel calcolo dei propri benefici e passare sopra alle altre persone pur di raggiungere i propri scopi. L’uomo e la donna hanno gli stessi tratti fondamentali umani nella loro essenza, e alcuni di questi prevalgono non solo nei sessi, ma anche negli individui di questo e di quel sesso, perciò, alcune donne possono presentare una forte approssimazione alla specie virile e viceversa. Il che può essere connesso con la missione individuale.
di Don Salvatore Rinaldi
articolo pubblicato su “Primo Piano” di Lunedì 9 Maggio 2016
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