Satellizzazione-desatellizzazione: Mio figlio

Nella fase preadolescenziale e adolescenziale, il soggetto si muove progressivamente dalla fase di dipendenza esecutiva verso una effettiva autonomia esecutiva , passando attraverso uno stato intermedio caratterizzato da una comoda dipendenza volitiva....

Nella fase preadolescenziale e adolescenziale, il soggetto si muove progressivamente dalla fase di dipendenza esecutiva verso una effettiva autonomia esecutiva , passando attraverso uno stato intermedio caratterizzato da una comoda dipendenza volitiva, in cui il ragazzo rinuncia difensivamente alle proprie responsabilità, in attesa di potersi poi confrontare con l’ambiente circostante con una più sicura autopercezione di efficacia e successo. E’ importante sottolineare come i bambini rifiutati o non accettati dai loro genitori, non potendo sperimentare quest’importante fase di satellizzazione, avranno probabilmente più difficoltà poi nella costruzione della fiducia di base necessaria allo sviluppo della propria autonomia. In pratica, l’impossibilità di affidarsi e di sperimentare un “senso di appartenenza” rende impossibile lo stabilirsi di una dipendenza e quindi l’instaurarsi di quella alleanza genitori-figlio presupposto fondamentale per poi accedere allo status di adulto. Infatti, nella sua fase evolutiva, il bambino progressivamente deve diventare autonomo dai suoi genitori (cioè deve de-satellizzarsi), che è il compito principale nelle successive fasi dell’adolescenza e della prima giovinezza. Si tratta di un cambiamento a cui concorrono vari fattori di ordine personale e sociale, come il livello di sviluppo sociale e cognitivo, l’apertura sociale e la possibilità di frequentare ambienti diversi dalla famiglia come la scuola o il gruppo di coetanei, l’assunzione di maggiori responsabilità, tutte condizioni che favoriscono l’importante ma non facile processo di de-satellizzazione, cioè di separazione psicologica, del figlio dalla coppia genitoriale, a cui parallelamente corrisponde una funzionale satellizzazione intorno al gruppo dei pari, che facilita la maturazione della propria identità e la consapevolezza delle proprie capacità e competenze. Non dobbiamo dimenticare che l’adolescenza, questa delicata fase verso la conquista del proprio status autonomo, è più facilmente di altre fasi a rischio, perché attraversata da tensioni e instabilità emotiva. Tutte condizioni queste che, in alcuni casi, (soprattutto quando nell’infanzia non si è potuta adeguatamente sperimentare la fiducia genitoriale) possono spingere i giovani alla ricerca di forme transitorie e marginali di status, specie nel gruppo di pari e nella devianza. Il passaggio da una fase di satellizzazione-desatelizzazione con i genitori (periodo dell’infanzia) a quello centrale di satellizzazione-desatellizzazione con il gruppo dei pari (periodo dell’adolescenza) rappresentano fasi di sviluppo fondamentali, dal cui esito non dipende solo la maturazione di una personalità autonoma e responsabile, ma anche poi, in età adulta, la capacità educativa di favorire a sua volta come genitore la satellizzazione-desatelizzazione dei propri figli. Il compito fondamentale dell’intero arco evolutivo può essere rappresentato da un compito generale: essere capaci di abbandonare le “sicurezze” dell’età infantile, caratterizzate essenzialmente dalla certezza e dalla stabilità delle relazioni familiari, per disporsi ad “esplorare” il mondo extra-familiare, accettando il confronto con l’insicurezza, ma anche con il fascino, caratterizzante il distacco dall’ambiente primario. L’educazione (e l’educatore) ha il compito di mantenere viva nel soggetto la tensione tra l’essere e il dover-essere, tra potenzialità ed attuazione, tra sicurezza e, appunto, insicurezza, gli educatori e in particolare i genitori, saranno chiamati ad accompagnare i ragazzi in un cammino che è fatto di tappe progressive, caratterizzate dalla necessità di superare compiti evolutivi via via più complessi e impegnativi: da quelli relativi allo sviluppo cognitivo a quelli legati alla competenza emozionale, dalla gestione di pulsioni interne e stimoli esterni a quella delle relazioni sociali, dalla definizione di una propria gerarchia di valori a quella di un complessivo progetto di vita. Compito fondamentale della fase adolescenziale consiste essenzialmente in una sufficiente definizione della propria identità. Ciò, in realtà, permetterà all’individuo di entrare nelle relazioni, anche in quelle più intime, senza avvertire l’angoscia di sentirsi invaso, fagocitato dall’altro (Scarpa 2007, 65). In tal senso e al di là di facili banalizzazioni, ci sarebbe da chiedersi: ma cosa  intendiamo per intimità? Quando un rapporto può dirsi intimo? Di certo, non è sufficiente avere un rapporto sessuale affinché una relazione possa definirsi tale e, d’altra parte, l’intimità è una caratteristica non necessariamente presente, anzi a volte carente, anche in rapporti che si definiscono d’amore in senso stretto. Willy Pasini, psicoterapeuta, evidenzia che :«intimità vuol dire mettersi nella pelle dell’altro senza smarrire il senso della propria identità. Vuol dire ricevere l’altro nel proprio territorio intimo senza sentirsi invasi o contaminati» (Pasini 1995, 4). Ecco che, allora, intimità significa accogliere ed essere accolti; essere intimi significa comprendere e proteggere ciò che di profondo e personale l’altro ci racconta di sé e della sua storia individuale e, allo stesso tempo e in reciprocità, sentirsi compresi e protetti nel momento in cui comunichiamo ciò che di profondo e personale ci appartiene. Essere intimi significa fidarsi o, almeno, percepirsi come non in pericolo, laddove l’altro dovesse tradire la nostra fiducia. In caso contrario, la percezione del rischio e l’angoscia conseguente sarà tale da suggerirmi o, in alcuni casi, impedirmi di stabilire relazioni realmente intime con gli altri o con il partner. In tal senso, il polo opposto all’intimità è, l’isolamento. Ciò non significherà necessariamente la mancanza di relazioni d’amore o di non arrivare anche a sposarsi, ma piuttosto sperimentarsi soli anche all’interno di tali rapporti o il non permettersi di “aprirsi” in tali contesti, per timore di essere traditi, feriti, abbandonati , invasi, misconosciuti, rifiutati, tanto che l’angoscia, in alcuni casi, arriverà ad assumere livelli tanto costrittivi da condurre a posizioni di isolamento patologico e sintomatico. Ecco perché chi avverte il bisogno di un proprio sano e reale senso di identità personale, di adeguata autonomia, potrà “entrare” in una relazione affettiva senza avvertire un minaccioso senso di angoscia e, quasi di annientamento di sé.

 

di Don Salvatore Rinaldi

articolo pubblicato su “Primo Piano” di Lunedì 20 Giugno 2016 

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