Valori da condividere

La società oggi ha un’articolazione complessa e un’impronta pluralistica che inducono necessariamente l’esigenza di una vita civile dignitosa ma ciò presuppone il confronto e la scelta di modalità di convivenza che richiedono di mettersi d’accordo, di collaborare.

 

 

La frammentazione rende inoltre liquidità e incerta la società stessa e riduce, di conseguenza, l’area dei valori comuni e la predisposizione a collaborare: vi è il rischio che la convivenza diventi impraticabile! Non si può, infatti, far parte di una società e insieme essere separati dagli altri: ci vuole uno scopo comune e uno scopo minimo condiviso. La frammentazione favorisce il pluralismo morale che genera molteplicità e diversità dei valori individuali e sociali: ciò indica che la componente fondamentale del bene comune è quella morale. Se non vi è una base comune morale e non vi sono alcuni valori fondamentali condivisi, non vi è società. Infatti, senza la condivisione di valori, la società tende a sciogliersi in un grande mercato basato sulla produzione, lo scambio e il consumo. Il punto fondamentale è l’acquisizione di una “dote personale” di valori da confrontare con gli altri nel momento in cui l’individuo comincia ad interagire con loro quando inizia a far parte di una qualsiasi componente sociale, quando non è più da solo e per agire deve mettersi d’accordo con gli altri. Questa dote è normalmente il risultato di un processo intergenerazionale che ha storicamente trovato nella famiglia il luogo “tradizionale” di proposta, identificazione, assunzione e condivisione di valori comuni. Si capisce come la difficoltà di costruire il bene comune, soprattutto nel nostro paese, abbia una prima radice nell’affievolirsi progressivo della funzione educativa ai valori conseguente alla difficoltà della famiglia di svilupparla. Nell’ultimo mezzo secolo, inoltre, la famiglia non ha più rappresentato l’unica agenzia educativa dal momento che le nuove generazioni dell’Italia del dopoguerra hanno attraversato molteplici luoghi di formazione, diretta o indiretta, ai valori e alla vita sociale: la scuola, la Chiesa, il luogo del lavoro, l’associazionismo giovanile e così via. Se l’esperienza vissuta in ogni ambiente della vita quotidiana è stata positiva, nel momento del passaggio alla vita adulta, la convivenza civile dell’individuo assume la sua pienezza poiché ciascuno porta con sé la sua dote di valori e una visione dell’uomo e della vita che ha costruito responsabilmente nell’arco della sua giovinezza. E’ a questo punto che, volendo perseguire il miglioramento della convivenza sociale, gli individui devono inevitabilmente condividere i loro valori per associarli allo scopo comune. La prima resistenza alla condivisione è proprio la conseguenza, in misura quantomeno proporzionale per intensità, della fatica e della pazienza con le quali ciascuno ha elaborato e fatta propria la scala dei suoi valori: che senso identificare e costruire convinzioni e pratiche virtuose se poi rimangono solo fini a sé stesse? la seconda resistenza si incontra nel momento in cui le proprie convinzioni sono minoritarie rispetto a quelle degli altri, si prenda ad esempio l’indissolubilità del matrimonio. Qui si pone il problema di come mediare, sul piano legislativo, tra posizioni opposte per trovare una soluzione legislativa che sia il risultato di un processo serio e responsabile, un risultato che non sarà condiviso ma giungerà dopo una modalità di confronto condivisa. La resistenza più forte si manifesta, infine, con la messa in discussione dei cosiddetti “valori non negoziabili”, ossia quei valori morali di indirizzo e disciplina della convivenza che sono considerati assoluti, per esempio la negazione del matrimonio tra omosessuali (difesa del valore della famiglia) oppure la negazione della pratica dell’eutanasia o dell’aborto. Questa resistenza è la più forte e determinata spesso conflitti aspri e contrapposizioni rigide poiché la sua non negoziabilità impone il rifiuto a priori delle ragioni degli altri, atteggiamento che rappresenta, invece, il primo passo verso la costruzione del “bene morale comune” e, quindi, il miglioramento continuo della convivenza sociale. E’ evidente che l’argomento è difficile, controverso e spesso affrontato sia con molta astrattezza sia con furore ideologico, occorre perciò individuare un minimo comun denominatore di valori che eviti questi due rischi per affrontare poi, magari ancora divisi ma più disponibili, i temi cruciali del vivere insieme. Senza un passo indietro non si farà un passo avanti! Innanzitutto va condivisa l’originalità di ciascun essere umano, la sua autenticità e irripetibilità. Quindi il rispetto degli altri che è la base dei rapporti umani e serve ad accettare e valorizzare le differenze di genere, età, razza, religione e visione della vita. Va senz’altro condivisa l’accettazione della possibilità  e della volontà di cambiare in meglio la società senza pregiudizi e con molta convinzione. La fiducia, come impulso vitale verso l’esistenza e come stile del rapporto con gli altri. La libertà, per poter scegliere, per aggiungere altre scelte e per permettere agli altri di compiere scelte per sé stessi, libertà per affermare le nostre convinzioni, esprimere i nostri sentimenti senza subire pressioni e minacce. E, infine, l’amore, qui inteso come volontà e capacità di mettersi nei panni degli altri perché riconosciuti e considerati come nostri simili. Da questi valori, declinandoli nelle specificità di ciascuno, confrontandoli e assumendoli come criteri di valutazione per le scelte che influenzano la convivenza civile, sarà possibile e meno difficile la ricerca e la costruzione del bene comune.

 

di Don Salvatore Rinaldi

 

articolo pubblicato su “Primo Piano” di Lunedì 11 Luglio 2016

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