E' il "come" che decide

Apertura e sincerità sono ideali diffusi, che ben volentieri siamo disposti a perseguire, e tuttavia certe cose preferiamo tacerle: l’irritazione per l’avarizia del partner, un’avventura che si vorrebbe confessare ma non si osa farlo, desideri sessuali che si crede l’altro non possa accettare, un aborto clandestino, la paura della morte durante una grave malattia, una macchia nel passato della famiglia. 

A seconda della gravità del tema, l’orgoglio o la vergogna impediscono di aprire bocca, a cui si aggiunge la paura: non si vuole ferire l’altro, si teme di perderlo se venisse a conoscenza della verità. Spesso il perché, cioè la motivazione che induce a tacere, è più importante del contenuto della confessione. Si arriva così a evitare sistematicamente certi temi. Il soggetto teme la possibile reazione violenta dell’altro, l’emotività e la sgradevolezza che possono accompagnare un qualunque accenno al tema caldo. Un’altra ragione del silenzio è il comprensibile desiderio di non compromettere la qualità della relazione: è la semplice paura di un litigio, temuto come l’inizio di una spirale discendente. Non è affatto scontato che l’altro gradisca la confessione. E’ molto più probabile che si debba fare i conti con reazioni anche drammatiche. La vecchia battuta degli psicologi: «Beh, almeno ne abbiamo parlato», allude non senza ragione al fatto che il colloquio è di per sé qualcosa di positivo. Ma questo vale solo a certe condizioni: non basta aprire il discorso e chiuderlo lì, né aver affrontato un tema significa averlo liquidato una volta per tutte. Un dialogo delicato richiede una strategia, una preparazione psicologica. Facendo tutte le cose giuste, non necessariamente il colloquio va bene. Ci sono momenti e situazioni in cui è meglio tacere e accettare i limiti di una relazione, piuttosto che il dolore e la frustrazione che comporta l’accenno a un tema difficile. Troppo spesso, infatti, un colloquio avviato con grande pazienza e sensibilità sfocia in frustrazione, accuse e controaccuse. La situazione è troppo carica di emotività da ambo le parti. La nostra salute mentale dipende in larga misura dalla capacità di sopportare sentimenti contrastanti e situazioni ambigue e dalla consapevolezza che non tutti i problemi si possono risolvere sempre e subito. Se sia il caso di portare il discorso su un problema, o se sia meglio evitarlo, dipende non di rado dalle conseguenze che siamo pronti ad affrontare. Prima di cominciare chiediamoci i perché vogliamo affrontare un argomento difficile. Si tratta solo di scaricarci di un peso o del desiderio di migliorare il rapporto con l’altro? Quest’ultima sarebbe la motivazione più favorevole al buon esito del colloquio. Quanto più rimandate un colloquio spinoso, tanto più difficile diventa avviarlo. Per questo, soprattutto in una relazione importante, si dovrebbe aver cura di discutere le cose il più regolarmente e apertamente possibile, invece di rimandare i discorsi seri alle calende greche. Se non siamo sicuri di quanto possa diventare accesa la discussione su un certo argomento, cerchiamo di affrontarlo con prudenza,  soprattutto evitando di prenderlo di petto, ma cerchiamo di capire cosa ne pensa l’altro, quanto sono forti le sue reazioni di difesa e fino a che punto il tema può essere imbarazzante e irritante. Possiamo, per esempio, parlare di come altri hanno affrontato e risolto il problema. E’ importante aspettare il momento adatto per aprire il discorso: non ha senso mettere di fronte a un tema scottante una persona che è già tesa, inquieta o stressata. Lo stesso vale anche per voi: evitate di mettere sul tappeto un argomento difficile se siete arrabbiati, eccitati o abbattuti. Questo anche nel caso che sia l’altro a prendere l’iniziativa di un colloquio spinoso: cercate allora di rimandare, non senza concordare di riprendere il discorso in un momento in cui potrete affrontarlo entrambi con relativa serenità. Se c’è qualcosa da discutere, qualcosa da chiarire, bisogna farlo bene e andare fino in fondo. Dopo un primo scambio di idee ce ne saranno altri, perché la maggior parte delle cose importanti nella vita non si possono risolvere “una volta per tutte”. Parlare di quello che sentiamo e pensiamo invece di aggredire l’altro con giudizi sul suo comportamento, i suoi errori, difetti e paure. Evitare anche le frasi generiche e i giudizi sommari, parlare piuttosto di ciò che vi agita o vi tormenta, senza tuttavia drammatizzare inutilmente. L’empatia comincia con il fatto di ascoltare tranquillamente l’altro, di riconoscere la parte che abbiamo nel problema. In un colloquio di chiarimento non si tratta di estorcere una “verità” che ci aggrada, né di avere incondizionatamente ragione. Un buon ascolto ha grandi vantaggi: riconosciamo, per esempio, cosa possiamo pretendere dall’altro, dove sono le sue paure o i suoi punti dolenti, cosa finora non siamo stati capaci di vedere. Una volta avviato il dialogo su un problema, resistere alla tentazione di introdurre altri temi caldi, in modo da fare finalmente “piazza pulita”. Difendersi anche contro simili tentativi da parte dell’altro. Se introduce temi appena accennati, chiedete di trattarli a parte: «Di questo ci occuperemo un’altra volta; la questione di cui stiamo parlando ora per me è importante, abbastanza da non cambiare discorso». La maggior parte dei problemi presenta anche una dimensione comica, ironica o ridicola. Un colloquio su temi importanti non deve necessariamente sprofondare nelle tenebre. Entrambe le parti potrebbero cercare di rimetterlo nella giusta prospettiva, di trovare un equilibrio, di relativizzare, trovando nell’umorismo un contrappeso all’inevitabile rabbia, frustrazione o malumore. Cercare di portare il discorso a un esito conciliante.

 

di Don Salvatore Rinaldi

 

articolo pubblicato su “Primo Piano” di Lunedì 1 Agosto 2016

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