L’adolescenza è caratterizzata da un inizio di autonomia e quindi da un distacco relazionale rispetto ai genitori. Costituisce però un test importante, in cui i ragazzi mettono alla prova le proprie risorse, cioè tutto quanto hanno ereditato dalle esperienze familiari dell’infanzia.
Anche quando sta bene, l’adolescente vede vacillare il senso di sicurezza, l’immagine di sé e la fiducia verso gli altri e verso se stesso. Si va dalla chiusura in se stesso, con il distacco improvviso dai legami consueti, al disprezzo di sé, con autoaccuse, negazione delle proprie competenze, fino a forme di vero e proprio autolesionismo. Queste possono limitarsi a bizzarrie del vestiario e nel trucco, ma ci sono anche tagli, ferite, tricomania (tendenza compulsiva a strapparsi ciocche di capelli), anoressia e bulimia fino ai tentativi di suicidio. In questo periodo il profitto scolastico è un’altra comune via di espressione del disagio adolescenziale, quando per esempio c’è un crollo improvviso del rendimento. Lo stesso vale per i rapporti sociali, in particolare per il legame con le principali figure di riferimento: si assiste ad un ribaltamento più o meno brusco e violento, dalla vicinanza e dipendenza affettiva a un rifiuto che spesso ha un carattere ostentato e provocatorio, che lascia i genitori impotenti e delusi, delusione che l’adolescente sembra coltivare mostrandosi sempre più intrattabile. I fattori che mettono in moto questi comportamenti spesso non sono facili da individuare, ma uno è senz’altro la pubertà stessa, in quanto rimette in discussione i rapporti con tutti coloro che fino ad allora rappresentavano un sostegno e un riferimento, non solo i genitori, ma anche gli insegnanti e altri adulti e gli stessi amici d’infanzia. L’adolescente può sentirsi soffocare e vive gli altri come una minaccia di sopraffazione. Se le sue risorse e il sostegno ambientale sono insufficienti a contenere la tensione di questa nuova situazione, può nascere un doloroso vissuto d’impotenza. L’adolescente che si sente minacciato nel suo territorio prova il bisogno di riconquistarlo, di riprendere in mano la situazione, di sentirsi di nuovo padrone della propria vita, per proteggersi dal pericolo del crollo o della disorganizzazione. Ora, la distruttività è la forma più accessibile di padronanza. Mentre il piacere e il successo sono sempre aleatori, come tutto quello che nella vita dipende dalla risposta degli altri, il dolore e la sofferenza provocati dall’autodistruzione sono sempre a portata di mano, soprattutto quando sono auto inflitti. Meglio farsi del male da soli che temere l’aggressione degli altri. Questi comportamenti hanno inoltre in comune il fatto di prendere la forma di un’amputazione delle potenzialità di uno dei tre ambiti fondamentali dello sviluppo: il corpo, gli apprendimenti e le relazioni sociali. Le ferite auto inferte, i tatuaggi a fuoco, per incisione e scarificazione, sono l’espressione caricaturale di tale amputazione simbolica. Se si chiede a uno di questi ragazzi perché si tortura cosi, ha difficoltà a rispondere, salvo dire che in fin dei conti lo consola. È qui la chiave di questi comportamenti. Non sono una scelta ma una costruzione subita, che si cerca di mascherare come una decisione deliberata. Perché questa accettazione o appropriazione della sofferenza? Per il suo effetto consolatorio e rassicurante: rassicura e conforta il fatto che l’Io ritrovi un ruolo attivo di fronte alla minaccia di essere sopraffatto dagli altri. I comportamenti autolesivi si nutrono sempre di delusioni accumulate, che sono proporzionali all’intensità del desidero sottostante. È tale l’intensità che muove il soggetto a privarsi di ciò di cui avrebbe più voglia: il cibo per le anoressiche, il benessere corporeo per chi si ferisce o si mutila. L’autolesionismo lenisce la sofferenza, come una vera e propria anestesia delle emozioni. Queste infatti, tristezza, angoscia, paura, sono cancellate dalla sensazione – fame, dolore fisico – in una spirale che può diventare una vera e propria dipendenza. Si parla a volte, in questi casi, di masochismo, il che implica una forma di piacere, un aspetto erotico. Tocca agli adulti non lasciare gli adolescenti prigionieri di questi comportamenti coatti e distruttivi, cercare di capirne insieme le ragioni e prendere provvedimenti utili per aiutarli a trovare altre modalità di espressione del disagio e riacquistare fiducia in sé e negli altri, per evitare che tali condotte diventino il modo abituale di ridurre le tensioni. La propensione al rischio dipende in grande misura dal fatto che il loro cervello li orienta verso sensazioni forti e la ricerca di ricompense, in quanto sono molto sensibili ai rinforzi. Per comprendere quanto si verifica nel cervello di un adolescente bisogna tener conto che gli effetti gratificanti – negli animali come negli esseri umani – dipendono dalla stimolazione del “sistema di ricompensa”: questo è costituito da un fascio di fibre nervose (fascicolo mediale prosencefalico) che originano da neuroni situati nel nucleo accumbens e nell’area ventrale tegmentale (VTA) che si proiettano verso la corteccia cerebrale.
di Don Salvatore Rinaldi
articolo pubblicato su “Primo Piano” di Lunedì 12 Settembre 2016
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