Arte medica

La crisi del costume morale, il ruolo genitoriale e del mondo giovanile in generale, nonché quella della famiglia e il perpetuarsi di tragici delitti in ambito familiare, di cui la cronaca ci informa costantemente, sono tra le povertà fondamentali dell’Occidente di oggi e trovano, tra le cause, il diffuso abbassamento della percezione dell’alto valore umano e trascendente della vita, anestetizzato da attrattive e dibattiti futili su mille altre cose.

Quando nasce un individuo umano in lui ha inizio una vita che non si esaurisce nel circolo biologico dalla nascita alla morte, ma si accende ontologicamente un’eternità. Il mondo di oggi, la società di oggi hanno bisogno di speranza e di cambiamento a cominciare dal riconoscimento del diritto alla vita, anche per avere la speranza occorre rispettare la vita di tutti. La speranza c’è, finché c’è la vita. Un essere umano è sempre una realtà misteriosa che ci sfugge in qualche parte. Non è un oggetto a nostra disposizione; quando un bambino diventa ragionevole, ci sorprende in quanto soggetto di libertà e di decisione. L’essere umano ai suoi inizi è ancora più misterioso: non si vede, non si può prevedere ciò che sarà, le sue caratteristiche, il suo proprio destino, il modo con il quale sarà integrato nella società degli uomini. Il fondamento ontologico della persona è che ogni persona deve essere valutata per quello che è e non prioritariamente per quello che fa e conosce. Il valore della persona è “per quello che è” e non soltanto per quello che sviluppa nelle sue attività. Ogni individuo costituito, corpo e spirito, consente di evitare il soggettivismo di quanti  riconoscono la persona soltanto nel soggetto che è in grado di riflettere, di essere autonomo e di stabilire anche ciò che è lecito o illecito. Inoltre la distinzione tra l’essere della persona, le sue capacità e i suoi atti singoli consente alla persona di perfezionarsi e migliorarsi, di riconoscere in sé un disegno (l’essere uomo) che è il fine stesso dell’etica (sii uomo!). Il problema che ricorre più spesso, come esito della modernità e della secolarizzazione nonché dell’assenza della metafisica appare quello della autonomia dell’atto morale e della decisione sulla vita propria e altrui. Il radicalismo da una parte, le opzioni libertarie in tema di sessualità, e in ambito anche medico nel rapporto medico-paziente, la perdita nel senso della verità e delle possibilità per l’uomo di conseguirla lasciano campo aperto alle spinte più contraddittorie e minano i fondamenti dell’etica e del diritto. I progressi della ricerca scientifica e la disponibilità di informazioni tramite il canale dei mass-media hanno innalzato il livello delle aspettative dei pazienti, soprattutto di quelli più giovani. Spesso i pazienti (o i loro familiari) conoscono - più o meno bene - il programma terapeutico che verrà loro proposto prima ancora dell’incontro con il medico. Il paziente moderno dunque, sempre più informato, non necessita e non richiede semplicemente il medico competente ed esperto, ma “il percorso assistenziale” che possa guidarlo attraverso una o più tappe alla guarigione o alla stabilizzazione della malattia di cui è portatore, in un continuum senza soluzioni in cui sentirsi accompagnato e coinvolto, sia che il percorso vada verso la guarigione, sia che vada verso la fine della vita. Questa esigenza è particolarmente avvertita dai pazienti affetti da malattie oncologiche. Fin dalle sue origini l’arte della medicina è al servizio della persona malata, con la finalità di curarne la condizione di salute e la qualità di vita, di guarirne - nei limiti del possibile - le patologie e alleviarne le sofferenze. In questa prospettiva, pur con accenti e riferimenti differenti lungo i secoli, paziente e medico sempre hanno saputo costruire insieme una vera “alleanza per la vita”. Da un lato la domanda di aiuto da parte del paziente, segnata dal peso del proprio vissuto e caratterizzata dalla sua soggettività etica e psicologica; dall’altro, la risposta d’aiuto - basata sulla competenza professionale, l’abilità operativa e la formazione umana – da parte del medico, consapevole della sua peculiare missione. Entrambi, in ascolto della propria coscienza morale e nel rispetto di quella altrui, impegnati a sostenere e promuovere il bene primario della vita e la qualità della salute. Resta comunque in carico al paziente il diritto/dovere di assumere in coscienza la responsabilità ultima delle decisioni circa gli interventi medici cui sottoporsi, nel momento presente, in coerenza col quadro valoriale assunto congiuntamente. Spetta invece al medico il dovere etico e deontologico di mettere il paziente - attraverso un’adeguata e completa informazione – nelle migliori condizioni per poter esercitare questa sua responsabilità etica. Sono da incoraggiare e diffondere possibili iniziative – per esempio, l’istituzione in ospedale della figura del medico tutor – che facilitino e migliorino il dialogo tra paziente e medico curante. La vita di ogni essere umano, infatti, mantiene la sua dignità indipendentemente dalle condizioni concrete in cui essa si svolge. Essa costituisce un bene primario della persona perché precede e consente lo sviluppo di tutti gli altri suoi beni e dimensioni, inclusa la qualità della vita stessa. E proprio in quanto tale, essa esige di essere riconosciuta e rispettata sia dal paziente sia dal medico. Lo stato di malattia e l’impossibilità di recuperare condizioni di autonomia sul piano dell’efficienza fisica, psichica o, comunque, nella gestione della propria persona, non costituiscono realtà esistenziali che tolgono dignità alla persona: il reciproco affidamento rispetto a contesti di debolezza o di bisogno costituisce, anzi, una delle manifestazioni più elevate dell’umano, che deve trovare sostegno anche sul piano legislativo. Ne deriva l’esigenza di una grande premura intesa al sollievo delle sofferenze e, più in generale, alla massima valorizzazione possibile della qualità di vita del malato, specie attraverso gli strumenti della medicina palliativa. Al tempo stesso, occorre assicurare che, nei confronti delle persone malate, non operino mai sollecitazioni, dirette o indirette, a rifiutare terapie in sé proporzionate. Il malato deve poter percepire che l’accesso a tali terapie non costituisce una sua pretesa nei confronti della società, ma l’esercizio di un preciso diritto, costituzionalmente sancito. Va evitato con cura che le prassi relative alla gestione di fasi avanzate o croniche di malattia finiscano per dipendere, anche quando facciano appello all’affermazione di diritti individuali, da mere considerazioni di carattere economico. Occorre garantire, in particolare, che le manifestazioni di volontà del malato non siano espressioni di stati depressivi o di condizioni psichiche anomale. Per cui dovrà assicurarsi ai malati affetti da patologie gravi, con particolare riguardo alle scelte di rilievo terapeutico, un adeguato sostegno psicologico. Coerentemente con gli assunti fondamentali enunciati, rifiuta ogni intervento (medico e non) eutanasico, vale a dire messo in atto con la diretta intenzione di procurare anticipatamente la morte del paziente gravemente malato o terminale o insofferente alla propria condizione. Al tempo stesso, e in ragione del medesimo riconoscimento della dignità che ogni essere umano possiede, “Scienza & Vita” si oppone fermamente a ogni intervento medico che, nella data situazione del paziente, si configuri come “accanimento terapeutico”, ovvero che, in base ai precisi ed individuati criteri di proporzionalità terapeutica, risulti clinicamente inappropriato.

 

 

di Don Salvatore Rinaldi

 

articolo pubblicato su “Primo Piano” di Lunedì 26 Settembre 2016

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