Eccomi: la risposta della Coscienza

È la coscienza morale a porre all’uomo alcune domande radicali e ineludibili: come devo comportarmi? In che modo distinguere le voci di bene e quelle di male radicate nel cuore? Chi sono chiamato a essere? Come amare autenticamente?

Il cammino della vita è un decidersi davanti a “casi di coscienza”, quando ci si trova divisi tra l’obbedienza a una legge civile e la voce della propria coscienza. Per decidere moralmente cosa fare è necessario raccogliere più informazioni possibili, richiamarsi ai princìpi che guidano la propria esistenza e interrogarsi sulle conseguenze della propria scelta. Appellarsi ai princìpi dell’etica come condizione per riemergere da una crisi di senso richiede che il proprio “io” si relazioni e viva in rapporto a un “Tu”; altrimenti i princìpi rimangono come un vestito vuoto senza un corpo che li ama.

Benedetto XVI dice: «Chi non è più capace di percepire la colpa è spiritualmente ammalato». L’ambiente della coscienza inizia dunque a dilatarsi lì dove sorge un’esigenza di comprensione di sé, per capire ciò che si muove “dentro”, e in particolare ciò che ha condotto a un agire corrosivo del bene. Papa Francesco nell’Esortazione Apostolica Amoris laetitia dice: «Darsi tempo, tempo di qualità, che consiste nell’ascoltare con pazienza e attenzione, finché l’altro abbia espresso tutto quello che aveva bisogno di esprimere. Questo richiede l’ascesi di non incominciare a parlare prima del momento adatto. Invece di iniziare ad offrire opinioni o consigli, bisogna assicurarsi di aver ascoltato tutto quello che l’altro ha la necessità di dire. Questo implica fare silenzio interiore per ascoltare senza rumori nel cuore e nella mente: spogliarsi di ogni fretta, mettere da parte le proprie necessità e urgenze, fare spazio» (AL 137).

L’Enciclica Lumen fidei (LF) di Papa Francesco dice: «E’ urgente perciò recuperare il carattere di luce proprio della fede, capace di illuminare tutta l’esistenza dell’uomo. La fede nasce nell’incontro con il Dio vivente, che ci chiama e ci svela il suo amore. Trasformati da questo amore, riceviamo occhi nuovi, sperimentiamo che in esso c’è una grande promessa di pienezza e si apre a noi lo sguardo del futuro. La fede appare come luce per la strada, luce che orienta il nostro cammino nel tempo» (LF4). La fede conosce in quanto è legata all’amore, in quanto l’amore stesso porta una luce. La comprensione della fede è quella che nasce quando riceviamo il grande amore di Dio che ci trasforma interiormente e ci dona occhi nuovi per vedere la realtà» (LF26).

La coscienza non si può ridurre al ruolo di un censore interiore, di una voce sottilmente nemica che prescrive divieti. Papa Francesco, nell’Esortazione apostolica Amoris laetitia precisa che la Chiesa è chiamata «a formare le coscienze, non a pretendere di sostituirle» (AL37).

La coscienza è un “ponte” attraverso il quale credenti e non credenti possono ascoltarsi e comprendersi. E’ grazie a questa grammatica comune che nella «fedeltà della coscienza – come dice  la Gadium et spes  – i cristiani si uniscono agli altri uomini per cercare la verità e risolvere nella verità i tanti problemi morali che sorgono sia nella vita dei singoli che nella collettività sociale» (17 – 18). La cultura contemporanea sembra avere svuotato il significato antropologico di coscienza e “il senso di obbligazione” verso gli imperativi della coscienza stessa, in particolare verso quelle “voci” che richiamano a scelte più impegnative e onerose in senso morale: la voce divina che risuona nel segreto, l’ascolto intimo, il giudizio, un “Tu” con cui dialogare, l’obbedienza sincera al comando interiore “fa’ questo, evita quest’altro”, la responsabilità verso l’altro.

La coscienza va dunque educata, e questo è “il compito di tutta la vita” (CCC 1784). Gli effetti di un’educazione prudente, sottolinea il Catechismo, includono la guarigione dalle paure interiori, dall’egoismo, dall’orgoglio, dai risentimenti, dai moti di compiacimento. Soprattutto, obbedire alla coscienza garantisce la libertà del cuore e la pace interiore. Dialogare nella coscienza è lo sforzo di interpretare i dati dell’esperienza, i segni dei tempi che cambiano, i consigli delle persone rette e l’aiuto dello Spirito.

 

La coscienza è il luogo in cui ciascuno si misura con la tensione al cambiamento. La lotta interiore può assumere configurazioni diverse: è la tensione tra una novità suggestiva ma ambigua (tentazione) e una abitudine buona (virtù) che, tra l’altro, mette in guardia dal cambiare rotta; ma è anche la tensione tra una provocazione in se stessa buona (legge), che incontra una resistenza nella persona e porta così maggiormente alla luce una cattiva abitudine (vizio). Non ci si può affidare ciecamente all’idea che tutto il male venga dall’esterno – in qualche modo la deriva estrema della cultura dell’autenticità – e che quindi sia bene fare solo ciò che “si sente”. Viceversa, è sensato ritenere che in qualcuno il male prevalga anche perché non c’è una memoria di bene – una virtù – pronta a farsi avanti, a prendere parola interiore.

 

di Don Salvatore Rinaldi

 

articolo pubblicato su “Primo Piano” di Lunedì 14 Novembre 2016

 

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