Domenica della gioia

III domenica di Avvento: “domenica della gioia”; inizia quel periodo forte per noi cristiani, da definirlo “periodo dell’attesa di Dio nella nostra persona”. Sono iniziati cieli nuovi e terra nuova e come tali noi non siamo altro che la voce di una Parola che si è fatta carne dentro di noi nella consapevolezza che noi possiamo parlare di ciò che conosciamo e di ciò che abbiamo udito.

Siamo noi voce di una Parola che si è incarnata dentro di noi, voce di una bellezza che in noi ha trovato dimora e tutti coloro che ci incontreranno potranno dire «io gioisco pienamente nel Signore» (Is 61,10). Se noi non riusciamo a portare luce, se noi non riusciamo a proclamare libertà agli schiavi a coloro che sono nelle tenebre (cfr. Sal 145) se il senso della vita ancora non lo abbiamo scoperto, se non riusciamo a essere voce di una Parola che si è fatta carne, di un Dio che ha iniziato questa Nuova Umanità, se non viviamo la gioia, ma solo tristezza, significa che noi non abbiamo compreso ancora chi è l’uomo. È quello che Gesù ha voluto dirci nella meravigliosa pagina di Vangelo che ci è stata proposta in questa III domenica di Avvento: «Che cosa siete andati a vedere nel deserto? … Un profeta? Sì, io vi dico, anzi, più che un profeta. Egli è colui del quale sta scritto: “Ecco, dinanzi a te io mando il mio messaggero, davanti a te egli preparerà la tua via”» (cfr. Mt 11,2-11). Anche noi, come Giovanni il Battista, siamo voce di quello che “sentiamo” dentro di noi, appartenenti ad una Nuova Umanità. San Giacomo, nella II lettura di questa III domenica d’Avvento ci spiega praticamente com’è possibile essere voce: «Siate costanti … Guardate l’agricoltore: egli aspetta con costanza il prezioso frutto della terra finché abbia ricevuto le prime e le ultime piogge. Siate costanti anche voi … Non lamentatevi, fratelli, gli uni degli altri, per non essere giudicati … prendete a modello di sopportazione e di costanza i profeti che hanno parlato nel nome del Signore» (cfr. Gc 5,7-10). Ebbene, quando una persona inizia un cammino per prima cosa si pone come obiettivo una meta da raggiungere. Il tempo di Avvento è per noi un cammino che ha come meta la riscoperta di ciò che già è in noi. Allora, risvegliamoci dal sonno! Spesso è più comodo “restare a dormire”, preferiamo scrollarci di dosso la responsabilità di stare nel mondo e di essere noi stessi custodi del creato e della persona che ci sta accanto. Nelle nostre relazioni con gli altri, il più delle volte, non viviamo nella realtà da svegli e cerchiamo piuttosto qualcosa che ci illuda che la realtà sia diversa. A molti di noi, a volte, affrontare la realtà fa male a tal punto che la mattina non vorrebbero nemmeno alzarsi oppure non vedono l’ora che giunga di nuovo il buio. Questo cammino di Avvento deve servire a svegliarci dal sonno per riappropriarci di tutto ciò che è nostro. Nei nostri sogni sono i cavalieri fantastici che ci salvano, ma non è questo l’Avvento. In questo periodo siamo invitati a riscoprire che tutto ciò che ci circonda ha insite delle leggi, che non è possibile manipolare. Noi siamo stati creati per essere in relazione con una Persona, di cui a volte dimentichiamo persino che è presente. Chi di noi crede che Dio è sempre presente nella storia? E qual è la nostra relazione con il Presente? Ma come possiamo mai riappropriarci della presenza di Dio se non viviamo più relazioni neanche all’interno della nostra famiglia? Noi siamo relazione: con il creato e con le persone a noi più prossime che sono la nostra famiglia e non possiamo farne a meno. Non dimentichiamoci mai che la storia è una: quella voluta da Dio sin dalla Creazione. Dio non ha mai smesso di essere presente nella storia. La Sua presenza, Dio, l’ha donata a noi, facendosi creatura, facendosi uomo. Il Natale ci ricorda che la presenza corporea di Dio è in mezzo a noi. Da quel momento la Sua corporeità è continua. L’Uomo di Nazareth, corporeità del Dio Trascendente, ci dice che c’è possibilità di una umanità secondo il progetto della Creazione e noi oggi possiamo essere il suo prolungamento. In questo periodo, ponendoci alla Sua presenza, dovremmo imparare a relazionarci con Lui e fare la nostra professione di fede: «Cristo, la tua umanità sia in me e la mia umanità ti accolga. La mia umanità si renda disponibile nell’accoglierti in modo che da oggi viva con il Dio fatto uomo» (cfr. Gv 8,32). Ci è mai capitato di passeggiare in una zona di mare in cui c’è un porto, certamente i vostri occhi sono stati subito riempiti alla vista di un faro. Vi siete mai chiesti perché il faro è sempre acceso? Soprattutto dall’imbrunire all’alba? Per evitare che qualcuno perda la rotta. Il faro è un punto di riferimento. È Dio, quella presenza che ci fa luce per evitare che qualcuno di noi perda la rotta, perda il senso della vita e desideri di non alzarsi la mattina. Noi possiamo quindi essere lieti solo se rimaniamo aggrappati a quella Persona e solo alla fine della giornata possiamo cantare con Maria «l’anima mia magnifica il Signore» (Lc 1,46).

 

di Don Salvatore Rinaldi

 

articolo pubblicato su “Primo Piano” di Lunedì 12 dicembre 2016

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