"Tu hai creato le mie viscere"

La vita di ciascuno è stata pensata e voluta prima che il mondo fosse e, ben a ragione, possiamo ripetere con il Salmista: «Signore, tu mi scruti e mi conosci. Sei tu che hai creato le mie viscere. Mi hai plasmato nel seno materno» (cfr. Sal 139).

Questa vita, che era in Dio sin dal principio (cfr. Gv 1,4), è vita che si dona, che nulla per sé trattiene e, senza risparmiarsi, liberamente si comunica. Dio ci fa sapere che la storia di ogni uomo inizia molto prima della sua data di nascita, e si prolunga oltre la data della sua morte. Le sue sono parole che hanno il potere di rendere trasparente la casa del tempo che abitiamo, e attraverso le pareti diventate cristallo scorgiamo un paesaggio prima sconosciuto che da ogni parte si perde nell’infinito. Pensavamo che la storia terrena racchiudesse tutta la nostra vita, invece scopriamo che è solo il capitolo di una lunga storia che prende l’avvio dal mondo eterno di Dio e approda di nuovo a questo mondo, per vivere con Dio oltre la morte. Il luogo della nostra prima nascita è il cuore di Dio. Esistiamo da sempre nella sua conoscenza e nel suo amore, e solo da pochi anni siamo entrati nella dimensione del tempo. Dice San Paolo: «In Lui ci ha scelti prima della creazione del mondo, per essere santi e immacolati al suo cospetto nella carità, predestinandoci a essere suoi figli adottivi per opera di Gesù Cristo» (Ef 1,4‑5). Le persone che chiamiamo papà e mamma sono i genitori (nel senso forte “generatori”) della nostra vita solo per il segmento che viviamo nel tempo e nella carne; ma lasciano scoperto tutto il tempo che abbiamo passato nel pensiero e nell’affetto di Dio, dove abbiamo incominciato a esistere, e dove torneremo a vivere dopo la morte. Solo il Padre che è nei cieli sovrasta il tempo e lo spazio; e solo Lui può coprire tutto l’arco della nostra esistenza. In Lui la nostra vita affonda le sue radici. Portiamo nella nostra persona non solo il DNA dei nostri genitori, ma anche quello di Dio! «Quale grande amore ci ha dato il Padre per essere chiamati figli di Dio, e lo siamo realmente!» (1 Gv 3,1). La cultura contemporanea, però, ha perduto il concetto di vita come dono; la stessa origine delle varie forme viventi sulla terra, uomo compreso, sarebbe frutto del caso e non della volontà di una intelligenza superiore. Ora, se la vita è il risultato di un’evoluzione senza autore, essa non ha nemmeno uno scopo ultimo; assomiglia perciò a un gioco governato dalla fatalità e si riveste di pessimismo e disperazione. Per questo la cultura contemporanea, pur essendo immersa nel benessere, si rivela, in realtà, una cultura senza speranza. Noi cristiani, invece, crediamo che la vita sia dono di Dio, cioè di un essere intelligente e libero che non solo ci ha creato, ma ci ama e interviene nella nostra storia. L’uomo è la sola creatura, su questa terra, che Dio ha voluto per se stessa e che ha chiamato a condividere, nella conoscenza e nell’amore, la sua vita divina; non è qualcosa, ma qualcuno, capace di conoscersi, di donarsi liberamente e di entrare in comunione con Dio e con le altre persone. La trama di relazioni sociali in cui ogni persona è inserita e che influisce sul suo stato d’animo costituisce collettivamente la felicità, che individualmente è uno stato di benessere psicofisico. Tutto ciò che di nobile e di grande attraversa la nostra vita è destinato a dare alla vita stessa il suo vero significato. Ogni gesto e ogni parola di augurio, di tenerezza e di misericordia, di cordialità e di fraternità concorre a far crescere in noi quella vita che Dio ci ha donato e ci porta verso una realizzazione piena. La vita non è qualcosa che si trova al di fuori di noi, ma dentro di noi. Soltanto noi possiamo manifestarla in piccoli gesti, scoprirla, ammirarla e svilupparla in tutti i suoi aspetti. La vita è un viaggio: deve essere portato a termine in felicità. La vita è una gara: deve essere vinta. La vita è creatività: deve spingerci a volere sempre qualcosa di più. La vita è un diritto: deve essere difesa a tutti i livelli. La vita è il primo valore: se annulliamo la vita, niente ha più senso. La vita si sperimenta come processo di formazione. Quanto più è viva, tanto più è creativa. È in questa forza che si fa ardente il desiderio di vivere, di apprezzare la vita, di gustarla, di palpitare con la vita che palpita, di buttarci nella gioia del vivere.

 

di Don Salvatore Rinaldi

Articolo pubblicato su “Primo Piano” di lunedì 30 Gennaio 2017

 

 

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