Da Natale siamo stati coinvolti in un vortice fortissimo che ci vuole felici. Da Natale stiamo percorrendo un cammino interessante che ci vede impegnati ad avere un rapporto con Gesù di Nazareth. Lungo questo cammino abbiamo avuto dei momenti di luce straordinari. Abbiamo incontrato i magi.
I magi rappresentano l’umanità che cerca una risposta, che ha sì un potere tra le mani, ma che continua a sentirsi insoddisfatta. Uno porta l’incenso: aveva sacrificato la sua vita a diverse divinità, cercava divinità per incensarle, in altre parole si era inginocchiato davanti a diverse realtà. Uno porta la mirra: la scienza, di fronte ai processi naturali voleva andare oltre, ma comprende che il troppo può sconvolgere l’equilibrio della legge naturale. Uno porta l’oro: il potere economico, credeva di essere un re e credeva che l’equilibrio delle persone fosse nel potere. Ma quel giorno queste tre potenze si inchinarono davanti a un Infante, si spogliarono di tutte le loro certezze e le deposero lì, desiderando ardentemente di vivere una nuova avventura. E tornarono alle loro case con un senso. Questo è stato il Natale per noi: una verifica di come stiamo portando avanti la nostra vita. Abbiamo avuto poi il supporto di Giovanni Battista. Giovanni Battista, il cugino di Gesù, è la tenerezza di Dio che si è incarnato. «Ecco l’Agnello di Dio». Chi è? Forse colui che prende possesso della storia con la sua autorità o con le sue vesti regali? Ebbene no. È l’agnellino che fa ancora tenerezza, ma che ha per fine quello di essere sacrificato. Dio entra nella storia con tenerezza. «Ecco Colui che toglie il peccato del mondo». C’è una radice, c’è qualcosa che non va. Lui non è venuto a togliere una sfilza di comportamenti errati, ma la radice del peccato, la radice di negatività di ogni uomo, la radice dell’infelicità, la radice del non-senso della vita, la radice che non fa essere più uomini. È necessario dunque che estirpiamo la radice del peccato che è in noi: il disumano che è in noi. Non posso sperare che siano gli altri a cambiare il mondo, devo cambiarlo io. Ecco, allora, l’Agnello di Dio, Colui che ci da la possibilità di essere il suo prolungamento. E noi vogliamo essere oggi il suo prolungamento. Non il prolungamento di un movimento, non il prolungamento di un’associazione, ma il prolungamento dell’Uomo di Nazareth. Se ci riteniamo il prolungamento di Gesù – e se per noi Gesù è Luce, Via, Verità e Vita – sappiamo dare una risposta anche di fronte a degli eventi particolari della vita (morte, malattia, calamità,...)? Guardare la realtà alla maniera di Gesù significa dare vita, dare speranza. Se ci chiudiamo pensando solo alla maniera della logica umana, non solo non siamo il prolungamento di Gesù, ma per noi Gesù è come se non fosse proprio venuto. Talvolta la ricerca dell’uomo è disposta a fare qualsiasi gioco politico per salvare la propria posizione. Però è lo stesso Uomo di Nazareth che ci fa comprendere come si fa a essere il suo prolungamento: «Venite dietro di me, vi farò pescatori di uomini». C’è bisogno di essere pescatori della vera umanità, c’è bisogno cioè di fare un piccolo passo, di convertire le nostre idee. Spesso noi vogliamo a tutti i costi che il nostro diritto di persona abbia il sopravvento su quello altrui. Giungiamo a stare in apnea, non riusciamo più a respirare. Diventare pescatori invece significa mettersi a disposizione degli uomini perché la vera dignità umana venga fuori. Gesù vuole che noi lavoriamo in rete: ognuno deve dare del proprio. Tutti viviamo dinanzi all’uomo che anela. Solo lavorando in rete tra noi e con Gesù possiamo essere pescatori di una umanità diversa. Dove c’è una persona che sta soffocando Lui ci invita a tirarla fuori. Noi siamo nati per essere felici, non dobbiamo scontare la colpa di nessuno. Vogliamo essere felici, sereni e sentirci appagati? Certo che sì. E allora perché non siamo su quella strada che da 2000 anni Gesù di Nazareth ha proposto a noi, ai nostri genitori, ai nostri nonni? Siamo stati fedeli esecutori di alcuni comandi, ma non abbiamo trovato la felicità. Alla fine della strada c’era solo uno scrupolo soddisfatto. Se non siamo realmente felici e appagati, come possiamo mai portare intorno a noi serenità? A questo punto qual è la logica da seguire? Sono tanti gli uomini che ci propongono la loro felicità, ma non lasciamoci accattivare e coinvolgere da quella logica solo umana che con ogni mezzo e con ogni esperienza vorrebbe raggiungerci. Gesù ci propone la sua strada: gli otto sentieri della felicità. «Beati i poveri in spirito», quale povertà? «Beati quelli che sono nel pianto», quale pianto? Non perseverare nelle tue certezze perché non ti sveleranno chi sei tu veramente. Sii felice, tu che piangi per la tua città. Sii felice, tu che vuoi far emergere la dignità umana. Sii felice, tu che vuoi vivere con una logica non solo umana. Nel momento in cui ti accorgerai che l’altro, in Cristo, è tuo fratello ti renderai conto anche che c’è più beatitudine nel dare che nel ricevere: ed è proprio questo il motivo per cui noi non siamo felici. Sii luce per il tuo fratello. «Voi siete la luce del mondo». Essere luce significa non mettersi al primo posto, ma tirar fuori quello che gli altri sono, mettendo loro in evidenza. Chi ha compreso questo messaggio illumina gli altri per farli emergere, non li abbaglia. Sii sale, sii sapore della vita. Dove l’umanesimo sta perdendo sapore, sii sale. «Voi siete il sale della terra». Il sale, affinché dia sapore, va sciolto. Per farci sale, quindi, non possiamo prescindere da un’immersione appassionata nella realtà. In questo modo daremo possibilità di emergere al bello che è in noi. Noi non siamo stati certo voluti per essere chiusi in una casa a più mandate. Noi siamo stati voluti a immagine e somiglianza di Dio: la relazione. Ma ben presto la Scrittura ci mette in guardia sull’autenticità della relazione: «Non commetterai adulterio». L’altro è dono. Non oggettivare le altre persone, non servirti dell’altro come se fosse una cose per raggiungere i tuoi fini o scopi. “Adulterio” significa non alterare l’altro, non manipolare l’altro. Non perdere mai di vista che davanti a te hai una persona. Non avere “occhi adulteri”, guardala cioè non con gli occhi del possesso, ma con gli occhi del cuore. «Avete inteso che fu detto “occhio per occhio e dente per dente”, ma io vi dico …» – continua Gesù con chiarezza – quasi a volerci dire: avete una bomba in mano? Basta tirare la linguetta per distruggere l’altro. Ma la vendetta rende prigionieri. Chi non reagisce non è stupido, è libero. L’arma, la forza per essere liberi consiste proprio nel non lasciarsi prendere dalla vendetta, perché questa rende schiavi. Il perdono rende liberi. Sei libero perché sconvolgi l’altro non lasciandoti prendere dalla logica negativa e, così facendo, risvegli nell’altro un “perché”. L’altro si costruisce una trincea per paura della tua reazione ed è lui stesso che ci resta chiuso dentro. Col tuo perdono l’altro si sente disarmato, perché vede che tu non hai autodifesa, ma lo accogli. E si sente amato. La nuova umanità, che non è una nuova strategia di combattimento, risponde al male col bene. Non serve a niente generare guerra per guerra. Non è con la vendetta che si stabilisce l’equilibrio. Se applicassimo ancora “occhio per occhio” avremmo un mondo cieco. Noi siamo stati voluti santi. «Siate santi, perché io, il Signore vostro Dio, sono santo», dice il Levitico. E aggiunge Paolo: «Siete tempio di Dio e lo Spirito di Dio abita in voi». Ma cos’è lo Spirito di Dio? È l’amore di Dio che santifica, che è capace di modificare le cose. Il Padre e il Figlio si amano e generano amore. E noi siamo stati voluti a immagine e somiglianza di Dio. Perciò siamo abilitati a rispondere al male col bene. Nel momento in cui lo faremo saremo le persone più libere del mondo. Coloro che non sanno essere tempio hanno bisogno di una persona che stia loro accanto e che generi amore. Perché è l’amore che genera amore. L’odio genera odio. Ed eccoci giunti a tirare le somme di questo lungo cammino intrapreso da Natale. Stiamo camminando per essere “trasferiti”, per vivere una realtà che è già iniziata. Qualcuno parla di un paradiso che ci sarà, invece è iniziato già qui. Ma questo nostro corpo corruttibile non ce la fa ora a contenere tutta grandezza dell’eternità. In più occasioni Papa Benedetto XVI parla dei cristiani, degli uomini di fede, come di «persone innamorate di Cristo, attratte da Lui, […] affascinate dalle sue parole, dai suoi gesti e dalla sua stessa persona». Gesù ha per noi sempre Parole che ci prendono. Ciò che ci ha detto in queste settimane va ripassato, ne vale veramente le pena. I nostri genitori ci dicevano: «Fai la preghiera a Gesù. Lui ti vuole bene». Ma Gesù è molto di più: Lui è il solo che ci da la forza di non deporre il nostro “amen” di fronte alle cose del mondo. Come quei magi che depongono il loro “amen” di fronte alle cose della loro vita, come Giovanni Battista e come tutti gli altri personaggi che abbiamo incontrato in questo periodo in cui stiamo comprendendo perché questo Uomo di Nazareth ci coinvolge. Gesù ci coinvolge per proporci di vivere il valore della vita: la felicità. È Lui stesso la proposta della nostra felicità, quotidianamente ci lascia un modo per poter essere anche noi nuova umanità. Prima di intraprendere un nuovo cammino, un cammino diverso, ci porta a fare una passeggiata con Lui. Incomincia col farci vedere la natura e ci fa osservare gli uccelli: «Guardateli: non seminano e non mietono, né raccolgono nei granai; eppure il Padre vostro celeste li nutre». Poi andiamo insieme in un campo e ci fa ammirare le meraviglie dei fiori: «Osservate come crescono i gigli del campo: non faticano e non filano. Eppure io vi dico che neanche Salomone, con tutta la sua gloria, vestiva come uno di loro». Dio Padre che fa tutto questo, può mai dimenticarsi di te, che sei il suo figlio diletto, fatto a sua immagine? La provvidenza è la sua stessa presenza nella nostra ricerca del suo Regno, il suo “già” in mezzo a noi. Se siamo convinti della sua presenza e lasciamo che prenda in mano la nostra vita, non ci resta che aprire una mappa e vedere dove ci sta portando, fiduciosi che al timone c’è Lui. Con queste premesse siamo pronti per vivere un nuovo periodo, la primavera dello spirito. È giunto il tempo – in questi quaranta giorni – di avere più fiducia nell’Uomo di Nazareth e di dirgli: «Mi fido di te e mi affido a te». Cerchiamo di “danzare”!
di Don Salvatore Rinaldi
Rubrica "Fede e Società"
Scrivi commento