Quaresima: per te giovane

«Sono i giovani che evangelizzano gli altri giovani». Frase ripetuta in più circostanze da Giovanni Paolo II. Ci deve essere la voglia di scendere in strada, al servizio di Gesù, per farlo conoscere e regalare così il dono più bello, quello che ci rende liberi e felici.

Quale lingua utilizzare per l’annuncio di Cristo ai giovani di oggi? Spesso il mondo giovanile è accusato di superficialità e distrazione e, a volte, anche di essere impermeabile ai contenuti. Ma è altrettanto vero che i giovani, più di altri, sono sensibili a parole vere e autentiche che nascono dalle labbra di testimoni. Il linguaggio della testimonianza sembra essere il più adatto per comunicare la fede ai giovani del nostro tempo. La testimonianza traduce la verità della fede in vita vissuta e rende visibile ciò che è nascosto. Abbiamo un compito che è una missione: essa è annuncio, kerygma, la sintesi della fede: Gesù Cristo Crocifisso e Risorto, Salvatore. L’esperienza dice che il kerygma si trasmette quasi naturalmente attraverso la parola del testimone. Per comunicare la fede è necessario, poi, uno spazio di silenzio dove la Parola di Dio e le parole degli uomini possano essere accolte. Non appoggiarsi sulla forza delle parole: «È una tentazione umana quella di credere alla potenza del convincimento verbale e ciò porta a scoprire in noi una certa non piena fiducia nella potenza dello Spirito». Ma “essere testimoni” e “testimonianza” significa rapporto, relazione. Il testimone entra in contatto reale con chi lo ascolta, attraverso una relazione altamente significativa che, lungi dall’enfatizzazione della possibile mitizzazione, crea simpatia, compagnia, solidarietà. Chi ascolta cerca e ricerca di continuo le parole e l’esempio di chi è stato strumento di rinnovamento e speranza personale. Se si perde un contatto reale, si perde inevitabilmente anche la lingua per comunicare. Il mondo giovanile si evolve con grande velocità: mode, personaggi, abbigliamento, musica, cambiano in un vortice consumistico inarrestabile. Gli educatori non sono chiamati a imitare i linguaggi del mondo, ma certamente a intercettare le domande esplicite o implicite, per comunicare in maniera significativa. Dio non è un argomento facile di cui parlare con disinvoltura ai giovani, perché implica riferimenti all’esistenza di Dio in chi ne parla e in chi ascolta. L’annuncio mostra la necessità di andare alla ricerca del vero volto di Dio, del Dio di Gesù Cristo e non di quello che spesso, con proiezioni della mente, ci creiamo “a nostra immagine e somiglianza” ribaltando la verità della Genesi: è Dio che ci ha creati a sua immagine e somiglianza! Un’altra tipologia di uomo religioso oggi è colui che crede di credere. Costui ha in sé un’idea molto pallida del volto di Dio. C’è un senso di Dio molto vago e misto ad altre credenza prese un po’ qua un po’ là e mescolato a un vago buonismo. È un Dio senza volto, un’idea di un Dio dei filosofi. Manca la dimensione personale, manca Gesù Cristo, unica via, manca soprattutto lo scandalo della croce. Benedetto XVI più volte ha sottolineato che oggi non si parla solo di evangelizzazione delle persone, ma anche delle culture, cioè delle mentalità e del modo di vivere della gente. Tale evangelizzazione può essere fatta in maniera esplicita (l’annuncio verbale), che implica la testimonianza della riconciliazione, della carità, eccetera. Evangelizzare non significa fare cristiani tutti gli uomini o portare tutti in chiesa. Neppure significa ottenere risultati immediati con conversioni o altro. Evangelizzare significa annunciare la Buona Notizia con fatti e parole in modo che possa essere liberamente accolta, approfondita e vissuta. Evangelizzare oggi significa fare i conti con società che si strutturano a prescindere da valori confessionali e sono percorse dal vento della secolarizzazione. Oggi più che mai è necessario annunciare la Buona Notizia perché i giovani hanno bisogno di significati e valori alti. Il Vangelo contiene in sé germi di novità perenne e una capacità di rinnovare ciò che è vecchio, di rivitalizzare ciò che muore. È necessario purificare il concetto che la salvezza si raggiunge per una via intimistica e disincantata, e non attraverso l’agire nel mondo, reso efficace dal lievito del sacrificio di Cristo. La fuga dal mondo, quelle splendide parole che dicono che mai nulla cambierà, che tutto è sempre uguale, che nel mio Paese non c’è nulla di nuovo, affermano l’inutilità dell’impegno per cambiare la realtà. Se pensiamo e agiamo così professiamo un’altra religione che non è quella cristiana, crediamo che la salvezza si raggiunga fuori dal tempo. Oggi c’è bisogno di cristiani motivati, uomini e donne capaci di risanare il cuore dell’uomo. Il risanamento del cuore è possibile solo con il Vangelo che ci insegna a rendere bene per male. Occorre che questa speranza sia in noi e traspaia dai nostri gesti e parole. Così l’evangelizzazione supera il rischio del proselitismo. Non si tratta di fare adepti, ma di liberare il vero senso della vita.

 

di Don Salvatore Rinaldi

 

Articolo pubblicato su “Primo Piano” di lunedì  03 Aprile 2017

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