L'uomo può diventare Dio solo facendosi figlio

L’espressione “regno di Dio” indica il regnare di Dio, il potere vivo che Dio esercita sul mondo. Con questa parola Gesù non si riferisce primariamente a qualcosa che è nel cielo, bensì a qualcosa che Dio opera e opererà qui in terra. 

Dalla teologia sul regno davidico, sulla quale si incentrano soprattutto gli oracoli del profeta Natan, è scaturita l’aspettativa della durata eterna del regno di Davide e da questa, a sua volta, la speranza messianica, l’attesa del re della stirpe di Davide, il quale instaurerà il definitivo regno di Israele. Qui si forma a poco a poco un’immagine del futuro, le cui speranze risultano fortemente intessute con le ispirazioni politiche del concetto davidico sul regno. Gli ebrei del tempo di Gesù avevano atteso la salvezza da un cambiamento delle condizioni del cosmo intero; la salvezza significava per loro una sorta di “paese di Bengodi” su basi religiose. Le tentazioni di Gesù, quali ci sono riferite in Matteo e in Luca, rispecchiano esattamente queste aspettative: pane dal deserto, segni miracolosi sensazionali, un potere politico assicurato sul mondo intero. Il Messia delle tentazioni nel deserto, il Messia delle aspettative umane, sarebbe dunque un Messia che garantisce i consumi e il potere. Gesù non ha mai dichiarato direttamente di essere il Messia, solamente l’iscrizione sulla Croce rivelerà che Egli è il Messia-Cristo; il che da quel momento diventerà il principio sul quale si fonda il Credo cristiano. Il messaggio di Gesù sul regno di Dio è improntato da un senso di continua attualità e non è legato né a luoghi né a tempi. Il suo campo non dipende da speculazioni su spazio e tempo, ma è incentrato sulla persona di Gesù e le sue categorie principali sono la grazia e la penitenza, la grazia e l’etica, che costituiscono un’unità inscindibile. Alla domanda dei farisei, quando sarebbe venuto il regno di Dio, Gesù risponde: «Il regno di Dio non viene in modo da poterlo osservare e nessuno dirà: eccolo qui o eccolo là. Perché il regno di Dio è in mezzo a voi». Gesù parla al presente: il regno di Dio non è osservabile ed è proprio in questo modo in mezzo a coloro ai quali egli sta parlando. Esso, Gesù stesso, si trova tra di loro: “Gesù in persona è il “mistero del regno di Dio”, che Dio ha donato ai discepoli”. In lui il futuro è l’oggi, in lui il regno di Dio è presente, pur tuttavia in un modo che lo si può ignorare; esso si sottrae a un’osservazione che vuole misurare i sintomi, calcolare le costellazioni. Secondo la bella espressione di Origene, Gesù è «il regno di persona». In Luca: «Se caccio i demoni con il dito di Dio, è dunque giunto a voi il regno di Dio» (Lc 11,20). Gesù è il regno non solo nella presenza fisica, ma per la forza irradiatrice dello Spirito Santo, che procede da lui. Nel suo operare pneumatico, che affranca l’uomo dal suo asservimento ai demoni, si realizza il regno di Dio e Dio stesso assume il governo del mondo. Il regno di Dio è evento, non luogo; Gesù con il suo operare, con la sua Parola, la sua passione, tronca il dominio dell’estraniazione che grava sull’uomo, lo libera e istaura quindi il dominio di Dio. Egli è il regno di Dio, perché per mezzo di lui è Dio che opera nel mondo. Il regno di Dio da lui promesso non consiste in mutate condizioni terrene, ma esso esiste dentro l’uomo, il quale è stato toccato dal dito di Dio e accetta di diventare figlio di Dio (Lc 6,35; Mt 5, 9-45). Il che può avvenire soltanto attraverso la morte. Per cui la pienezza del “regno di Dio”, della “salvezza”, è necessariamente connessa alla morte. L’uomo vuole l’emancipazione totale, cioè una libertà illimitata e un’uguaglianza in cui ogni estraniazione è eliminata ed è realizzata la completa unità con sé medesimo, con la sua natura e con l’umanità; il che vuol dire: egli vuole la divinità. In ciò il Nuovo Testamento gli dà ragione, ma l’uomo cerca, questa divinità, in una via sbagliata.

Nell’Inno al Cristo, nella Lettera di San Paolo ai Filippesi (2,5-11), i cristiani sperimentano la inaudita gioia che il futuro è diventato presente. L’uomo vuole essere uguale a Dio dice l’inno al versetto 6. L’uomo può diventare “Dio”, ma non autoproclamandosi tale, bensì soltanto facendosi “figlio”. Là, nel gesto filiale di Gesù e non altrimenti, nasce il “regno di Dio”. Per cui i primi sono gli ultimi e gli ultimi i primi; sono chiamati “beati” coloro che rappresentano in sé la croce della vita e insieme dimostrano la propria figliolanza; vengono esaltati i piccoli e tutti sono esortati a farsi bambini. Dove viene assunta la forma di figlio, là si crea uguaglianza con Dio, perché Dio stesso è Figlio, e come Figlio, uomo. Il regno è il Figlio. In lui è eliminata pure la separazione tra il “già” e il “non ancora”: in lui la morte e la vita, la distruzione e l’essere sono un tutt’uno. La croce è la graffa che chiude la separazione. Non possiamo ottenere la liberazione soddisfacendo i nostri egoismi, essa non può venirci dall’appagamento dell’egoismo, ma elusivamente dalla conversione, dall’imboccare la via in senso inverso, ossia dall’abbandono di qualsiasi egoismo. La salvezza non può venire all’uomo semplicemente dall’esterno, come se gli si consegnasse una somma di denaro, ma egli la può ottenere solamente come soggetto. L’uomo con il suo “sì” e il suo “no” è – nel disegno di Dio – soggetto, per cui riceve il proprio tempo, ma è soggetto non come costruttore del regno di Dio, bensì a motivo del suo rapporto filiale con il “Tu” di Dio. L’essere di Dio, l’“emanciparsi” per il regno di Dio, che elimina ogni estraniazione e ogni schiavitù, non è qualcosa che si possa “produrre”, ma è un dono.

 

di Don Salvatore Rinaldi

 

articolo pubblicato su “Primo Piano” di Lunedì 22 Maggio2017

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