Ognuno dei nostri atti produce il suo frutto, e noi costruiamo da questa vita la nostra esistenza futura. Per il Cristianesimo questa esistenza non è un nuovo percorso terreno, è eterna. Perciò spinge il cristiano a impegnarsi nella vita presente e nella città terrena.
Dio ha creato l’uomo per trasformare il mondo. Esiste certo un altro mondo. Ma il modo più diretto per prepararvisi è di rendere diverso questo mondo. Tutto ciò che sulla terra facciamo per renderlo più umano e più fraterno, prepara il mondo venturo verso il quale siamo incamminati. Non esistono due mondi, ma uno solo, il quale un giorno giungerà a pienezza nella vita eterna. L’aldilà è quindi già nelle nostre mani. Il Concilio: «Tutti i buoni frutti della natura e della nostra operosità li ritroveremo poi di nuovo, ma purificati da ogni macchia, illuminati e trasfigurati, quando il Cristo rimetterà al Padre “il Regno eterno e universale: che è regno di verità e di vita, regno di santità e di grazia, regno di giustizia, di amore e di pace”. Qui sulla terra il regno è già presente, in mistero: ma con la venuta del Signore, giungerà a perfezione». (Gaudium et Spes 39). “Credo la Resurrezione”: i cristiani lo dicono ogni Domenica a Messa, recitando il Credo. San Paolo scrivendo ai fedeli di Corinto: «Se i morti non risorgono, neanche Cristo è risorto, è vana la vostra fede, e voi siete ancora nei vostri peccati. E anche quelli che sono morti in Cristo sono perduti» (1 Cor 15,16-18).Sono due le grandi concezioni dell’uomo e del mondo, molto diverse fra loro. Nel mondo asiatico, il dopo–morte consiste in una successione di nuove esistenze ritmate dalla Legge della reincarnazione: è il cuore delle religioni orientali, Induismo e Buddhismo. Nella religione cristiana, la vita terrena sfocia nella vita eterna in un aldilà, sotto forma del tutto nuova, ma nella stessa continuità personale; e il passaggio dall’una all’altra vita si compie mediante la Resurrezione dell’essere nella sua integralità. Resurrezione significa allora che ogni persona umana sopravvive nella sua integralità dopo la morte. La fede dei cristiani in un aldilà si radica nella loro fede nella Resurrezione di Gesù, «veramente risorto dai morti, primizia della Resurrezione per quelli che sono morti» (1 Cor 15,20). Perché la morte non è più la stessa dopo che Gesù l’ha affrontata, attraversata e vinta. Ricordiamo le parole «Io sono la Resurrezione e la vita. Chi vive e crede in me, anche se morto viva» (Gv 11,25). La morte non è più la morte e basta, la fine dell’esistenza. Gesù le ha restituito quel senso che avrebbe dovuto avere fin dall’origine, fin dal primo uomo: il passaggio a una nuova vita. Gesù morendo ha vinto la morte. Che non è più l’annullamento di ogni vita e di ogni volto familiare, la porta contro la quale si sbatte prima di finire nel buco nero. È l’entrata nella “casa del Padre”, di un Padre che ci aspetta personalmente, a braccia aperte. Non consiste nel fare del quaggiù una semplice anticamera. Perché il quaggiù è l’inizio dell’aldilà e l’inaugurazione dell’incontro. E l’aldilà è il prolungamento trasfigurato di ciò che è già nato quaggiù. Il cristiano, dice “credo” perché aderisce a una rivelazione di Dio. Non dice “so”, come se tutto fosse chiaro, di un’evidenza razionale, decisiva. San Paolo lo sottolinea a suo modo: «Al presente, la nostra visione è enigmatica e confusa, come se vedessimo in uno specchio deformato» (1 Cor 13,12). Ciò che il Cristianesimo afferma dell’aldilà non è quindi oggetto di un’aspettativa soltanto umana, ma di una speranza ricevuta come dono di Dio. Nel Cristianesimo credere nella vita eterna significa credere alla Sua Parola. Ma possiamo descrivere questo aldilà? Difficile, perché le nostre parole provengono dalla nostra esperienza terrena, e dipendono da universi culturali molto diversi. Come vivremo nell’aldilà? Per quanto tempo? Come sarà il nostro corpo? Come sarà ristabilita la giustizia? Ciò che il cristiano chiama “Resurrezione della carne” riguarda ogni singolo uomo dopo la morte. La Bibbia parla di Resurrezione della carne, e non solo Resurrezione dei corpi. Ci dice così che la Resurrezione riguarda l’intero essere umano. Nell’aldilà, in Dio saremo quell’essere che siamo quaggiù, unico al mondo, con tutta la sua personalità, la sua storia, la sua corporeità. Ma non essendo più limitati dal tempo, dallo spazio, dalla malattia, saremo “glorificati”, trasformati nella “gloria” (la manifestazione dell’Essere) di Dio. Poiché la Resurrezione e la vita eterna riguardano tutto l’uomo, il corpo non è affatto un accessorio. Il modo di immaginarsi Resurrezione e vita eterna può variare secondo le culture e le epoche. La fede cristiana non prende posizione in proposito. La Resurrezione non è un nuovo inizio della vecchia esistenza. È nuova creazione, è la piena realizzazione della vita del tutto nuova ricevuta da Dio, mediante la potenza del suo Spirito, che si sostituisce alla nostra impotenza di creature mortali. «Il corpo risorto resta sempre il nostro corpo. È il corpo dell’uomo interiore, che mosso dallo Spirito di Dio, fin d’ora si rinnova di giorno in giorno» (cfr. 2 Cor 4,16). Questo corpo in via di spiritualizzazione è pur sempre la nostra dimora. Dimora umana, e tuttavia «eterna, non fatta da mani d’uomo». La sua edificazione è iniziata durante la nostra esistenza terrena, e tuttavia si può dire che «l’abbiamo in cielo» (2 Cor 5,1). Ciò che è chiamato a risuscitare nella vita eterna è ciò che “nel” e “del” nostro corpo è fin da ora sostenuto, compenetrato, vivificato dallo Spirito di Dio. La nostra Resurrezione sarà non una reincarnazione su questa terra, né una rianimazione, né una ricostruzione del nostro corpo, ma il gesto d’amore, di tenerezza onnipotente di Dio. Sappiamo però, dalla Rivelazione, che Dio prepara una nuova abitazione e una terra nuova. Allora, vinta la morte, i figli di Dio saranno risuscitati in Cristo, e ciò che fu seminato nella debolezza e corruzione rivestirà l’incorruzione. (Gaudium et Spes 39). Che ne sarà del corpo, nell’intervallo tra la morte individuale e la Resurrezione universale alla “fine dei tempi”? Il termine “intervallo” introduce un’idea di tempo che non esiste nell’aldilà, nell’eternità di Dio. Invece di immaginare un periodo provvisorio di separazione dell’anima e del corpo (prima della Resurrezione della carne), è più saggio imitare la discrezione di Paolo quando descrive la vita eterna. La nostra vita, dichiara, dopo la morte rimane ciò che è adesso per la fede, nascosta con Cristo in Dio: aspettando che «Cristo si manifesti», e che noi, «siamo manifestati con Lui nella gloria» (Col 3,3). In Paradiso saremo vicini al Signore, per sempre. Il cielo non è un luogo, è una presenza: quella di Dio-Amore. E il nostro intero essere sarà ricreato. Dopo la morte entriamo nell’eternità di Dio, dove non c’è più il tempo. «Ai suoi occhi mille anni sono come un giorno» (Sal 89,4), afferma il salmo. Quindi in un certo modo si può dire che si è già nella Resurrezione della “fine dei tempi”. Se Dio mi accoglie interamente così come sono, ho motivo di affermare che mi risuscita già, e che sono “in cielo”, dal momento che “il cielo” è Lui. Ma il mondo continua la sua storia dopo la nostra morte, e per esso “l’ultimo giorno” non è ancora venuto. Perciò devo anche dire che risusciterò con tutti gli uomini “nell’ultimo giorno”. Nel Cristianesimo ogni essere, pur immerso nel fuoco d’amore di Dio, conserva la propria identità totale, dilatazione dell’umanità anche nel suo aspetto corporeo. «Io lo so che il mio Redentore è vivo, e che un giorno mi riabiliterà. Dopo che questa mia pelle sarà distrutta, senza la mia carne, vedrò Dio», dice Giobbe (Gb 19, 25–26). Il nostro corpo lo ritroveremo, identico e insieme diverso: diventato “corpo spirituale”. Ma un vero corpo, come quello di Gesù quando si manifestò ai suoi amici e apparve a Tommaso, che tocca, e riconosce le sue mani, i suoi piedi, il suo costato. Un corpo che non conoscerà più i limiti della sua malattia, né quelli del tempo e dello spazio. Un corpo che sarà pura trasparenza. In un universo ben reale, perché l’uomo e il suo ambiente sono legati: sotto quei “cieli nuovi”, e su quella “terra nuova”. La creazione sarà liberata dal potere della corruzione, per partecipare alla libertà e alla gloria dei figli di Dio.
di Don Salvatore Rinaldi
articolo pubblicato su “Primo Piano” di Lunedì 29 Maggio 2017
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