Il prete

Il Santo Curato d’Ars (1786 – 1859) aveva detto in una sua catechesi al popolo: “Lasciate una parrocchia 20 anni senza prete: vi si adoreranno le bestie”. Benedetto XVI, nell’omelia dell’11 giugno 2010, parlò “dell’audacia di Dio”, che ama gli uomini a tal punto da permettere che alcuni di loro parlino in nome suo, rimettono i peccati e nella celebrazione eucaristica ogni giorno si consegna nelle loro mani.

Quest’uomo è il sacerdote, fragile e forte, povero e ricco nello stesso tempo. La chiamata e l’ordinazione sacerdotale non garantiscono a quell’uomo l’immunità dal peccato, solo con la grazia potrà superare le difficoltà e i rischi che il ministero inevitabilmente presenta. L’audacia di Dio sta proprio qui, Egli sceglie uomini deboli e fragili per inviarli ad annunciare il Vangelo del Figlio, a perdonare i peccati, a consacrare il Pane della vita e a spendere la vita nel servizio dei fratelli. Questa – disse il Santo Padre – “è la cosa veramente grande che si nasconde sotto il nome di sacerdozio”. L’anno sacerdotale è stato un rendimento di grazie al Signore: “per il dono di Dio, che si nasconde in vasi di creta”, consapevoli che: “in un piccolo punto della storia i preti condividano le preoccupazioni degli uomini”. Comunque il sacerdote non deve dimenticare le parole di Gesù: “senza di me non potete far nulla” (Gv 15,5), monito sulla necessità di rimanere uniti a Lui per portare frutto, per essere “amici” suoi, totalmente legati a Lui, e non già padroni o iniziatori dell’impresa salvifica umana. È il principio essenziale del primato della grazia, che i presbiteri sono chiamati a testimoniare. Nell’esortazione apostolica Pastores Dabo Vobis di Giovanni Paolo II “il ministero ordinato, in forza della sua stessa natura, può essere adempiuto solo in quanto il presbitero è unito con Cristo mediante l’inserimento sacramentale nell’ordine presbiterale e quindi in quanto è nella comunione gerarchica con il proprio vescovo. Il ministero ordinato ha una radicale forma comunitaria e può essere assolto solo come un’opera collettiva. Con l’ordinazione i sacerdoti, sono ponti lanciati tra Dio e gli uomini, santi e profeti insieme nella misura in cui si fa una viva esperienza di Dio. Solo questa esperienza, rende i sacerdoti autentici logofori capaci di trasformare il cuore degli uomini e della società: “il sacerdote si trova tra Dio e l’umanità. Cosa dovrà dunque fare? Dovrà portare alle persone proprio la misericordia di Dio, il mistero di Dio vivente, come sono contenuti simbolicamente nei sacramenti. Dall’altra parte dovrà offrire a Dio i desideri delle persone, i loro bisogni, i loro peccati, le loro gioie e sofferenze. Comprendiamo ciò che significa? Homo Dei, uomo di Dio: questo è il sacerdote. Collegare e mettere tutto in rapporto con il Dio vivente è proprio la sua grande missione, il suo grande compito di vita in ogni tempo, ma è anche un compito estremamente importante e difficile nel tempo attuale”. Qual'è dunque la croce del presbitero? È quella concreta del servizio presbiterale nella storia concreta della sua esistenza di pastore, in una Chiesa locale con la sua storia concreta. Non se ne esce! Se uno esce non ha più la croce che il Signore gli ha dato. Portare la croce per un presbitero è come Gesù portare la Palestina, il movimento reale della Sua vita fino al Calvario. Cioè essere crocifissi nel luogo in cui vive, con la gente che ha, con i problemi di quel luogo e di quella gente, dando nel modo più generoso il proprio servizio, senza ripudiare il tempo e la situazione in cui tale servizio è da dare. La tensione di una vita spirituale autentica fa dei sacerdoti uomini felici, mai frustrati e delusi, uomini aperti all’azione dello Spirito che ha sempre il sapore della novità. Si tratta di dare concretezza alla vita spirituale, con l’umiltà di chi non presume di sé, ma vuol essere fedele nel servizio e misurare la propria autenticità e verificarla continuamente.

 

 

di Don Salvatore Rinaldi

 

articolo pubblicato su “Primo Piano” di Lunedì 24 Luglio  2017

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