La tenerezza

La tenerezza è un sentimento incarnato nella vita di tutti i giorni, quando una giovane madre si piega per l’ennesima volta a rassicurare il suo bambino o una vecchia madre riceve l’attenzione non insofferente di un figlio, ma anche quando qualcuno si ferma a “perdere tempo” per ascoltare non fugacemente e distrattamente un vicino o per risolvere, con impegno e discrezione, una contesa futile ma dannosa.

Rappresenta una sorta di intima solidarietà, non urlata e nemmeno esibita, che dai rapporti familiari dovrebbe tra-cimare verso un più vasto territorio di relazioni sociali. È una parola che significa apertura, interesse vero, servizio, cura, condivisione, accoglienza, pazienza che non giudica, perdono. Gli ultimi anni ci han fatto assistere, purtroppo, al ritorno della durezza, non solo da parte dell’amministrazione americana, ma anche da parte di alcuni suoi zelanti imitatori in Europa e nel mondo. Il fatidico 11 settembre è ufficialmente entrato nella memoria collettiva e viene assunto a nuovo punto di riferimento.

Gli animi si sono inaspriti oltre misura. Tutto sembra permesso pur di annientare l’avversario. Perciò parlare di tenerezza, di questi tempi, sembra faccenda piuttosto difficile e poco alla moda. Quasi una sfida. Di fronte alla minaccia globale del terrorismo, dicono i più, meglio il pugno di ferro. Il quale poi si usa non solo con i terroristi, ma anche con tutti gli extracomunitari, anche quando con il terrorismo non c’entrano nulla.

E così non ci si avvede che la durezza si è intanto radicata nei nostri rapporti quotidiani. Ci si è indurito il cuore. Eppure, non si può vivere di durezza. Non si può vivere, cioè, senza tenerezza. Certo, la tenerezza evoca subito rapporti di prossimità, ossia rapporti di intimità. Ma non può e non deve essere ridotta solo a questo. Se ne perderebbe per buona parte il senso. La tenerezza è un gesto che nasce certamente nell’intimità, e prima di tutto nell’intimità della famiglia, ma poi riguarda tutti i rapporti umani, perché si sposa in un modo o nell’altro, con l’amicizia. La tenerezza viene di solito coniugata con il femminile.

Viceversa, la durezza appartiene, nell’immaginario collettivo, al maschile. Il corpo è non solo un corpo di carne, ma un corpo di simboli, perché è abitato da un’anima che lo informa. Tenero si dice, in generale, di ciò che non resiste alla pressione del tatto. Invece, duro si dice di ciò che vi resiste. Ma, per traslato, tenero o duro si dice di un atteggiamento, di un ricordo, di un discorso. Come mai? Il fatto è che la non resistenza al tatto – la tenerezza – è un modo secondo cui qualcosa in generale si ritrae, mentre qualcos’altro viene innanzi. Un essere umano infatti comincia

sempre con il ricevere. Riceve di tutto, a cominciare dalla vita.

Riceve un mondo di legami e di affetti, riceve l’universo intero, e tanto più quanto più egli è piccolo. La tenerezza della carne ci aiuta dunque a capire la tenerezza dello spirito. Ma vale in qualche modo anche l’opposto. Non esiste infatti tenerezza spirituale che non tenda a diventare tene-rezza della carne. Lo spirito e la carne, in un essere umano, si contagiano permanentemente e inevitabilmente. Ogni loro divisione è risultato, e pure fonte, di patologie. La tenerezza trova la sua naturale espressione nella relazione personale. Non dico solo della tenerezza dei corpi, ma anche e soprattutto della tenerezza dell’anima, perché ogni rapporto di coppia nasce dal desiderio di accogliere, nella differenza, un altro presso di sé e quindi implica necessariamente che in qualche modo ci si ritragga. In reciprocità, s’intende. Del resto, due persone umane possono veramente incontrarsi solo così, ossia deponendo qualsiasi pretesa di imporre alcunché all’altro e offrendo incondizionatamente sé medesime come luogo di senso in cui l’altro può trovar quiete. Cioè praticando la tenerezza. L’opposto, l’imporsi con durezza, vuol dire tentare di signoreggiare, cioè tentare di sottomettere. Ma nessuno si rassegna alla durezza di un legame di dipendenza imposta, se non è costretto da necessità. E se gli capita di subirla, farà di tutto per liberarsene al più presto.

La durezza non lega se non in apparenza. Può legare i corpi, ma non può mai legare uno spirito libero. Tenero si dice infatti correntemente di uno che accarezza. Quindi te-nero è uno che si rapporta all’essere di un altro come a un essere amato. E questo egli significa sempre in molti modi, compreso, appunto, il linguaggio del corpo. La mano che accarezza, proprio perché intenziona un corpo d’amore, è una mano che sfiora appena il corpo dell’altro. Lo tocca come per annunciarsi, ma nel contempo se ne ritrae. Gli lascia campo, intende lasciarlo “essere”. Perché tenerezza vi sia, non è necessario che l’altro sia oggetto d’amore erotico. Basta che sia oggetto d’amore. La tenerezza è propria dei legami d’amore. Li accompagna sempre.

Per questo la famiglia ne è il grembo privilegiato. Una famiglia è, o dovrebbe essere, essenzialmente il luogo deputato di tutti i legami d’amore naturali. Si sarà oramai inteso che la tenerezza, nel suo senso più ampio, ma anche più profondo, non è che la manifestazione visibile dell’amicizia e, in generale, dei rapporti d’amore tra gli esseri umani. Viceversa, la durezza impronta per lo più i rapporti di conflittualità.

 

di Don Salvatore Rinaldi

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