Più che mai la Chiesa del sagrato, che esce nelle strade e va nelle periferie, scende nei sotterranei della storia, cerca di camminare insieme con la gente dei nostri difficili tempi, ha bisogno del volto, delle mani, della voce, del cuore di chi vive quotidianamente nelle famiglie, negli ambienti lavorativi, nelle polis.
Ha bisogno di quelle donne e uomini il cui ruolo è stato vigorosamente illustrato nel Decreto sull’apostolato dei laici del Vaticano II, in quanto « partecipi della missione di Cristo sacerdote, profeta e re», e la cui «azione è talmente necessaria che senza di essa lo stesso apostolo dei pastori non può per lo più raggiungere la sua piena efficacia». Papa Francesco nel Messaggio per il 50° anniversario del Decreto. Dove ha anche avvertito che «il Concilio non guarda ai laici come fossero membri di “second’ordine”, al servizio della gerarchia e semplici esecutori di ordini dall’alto, ma come discepoli di Cristo che, in forza del loro battesimo e del loro naturale inserimento nel mondo, sono chiamati ad animare ogni ambiente, ogni attività, ogni relazione umana secondo lo spirito del Vangelo […] che non è riservato ad alcuni “professionisti della missione” ». una partecipazione importante nei confronti di una “novità” post conciliare che ha fatto passi notevoli. Ne potrà compiere ancora molti, se svilupperà tutte le potenzialità di una presenza laica, ufficialmente sdoganata, nella pratica ancora, spesso, considerata marginale e limitata. La società contemporanea, nella sua deriva e perdita del sacro, ha bisogno di incontrare una “Chiesa quotidiana”, fuori da quei luoghi istituzionali che avverte lontani, estranei. Ha bisogno di donne e uomini che trasformino gli ambienti che frequentano in “piccole chiese domestiche”, dove spezzano il pane della vita in simboliche “mense eucaristiche”, offrendo il loro corpo e il loro sangue di figli di quel Dio che ha il volto dell’accoglienza dell’altro, di un rapporto di amore senza riserve, di una pienezza che tutto comprende. Questa “umanizzazione” dell’evangelizzazione, dove la vita pulsa in tutte le sue varianti esistenziali, è la grande sfida della “missione” dei laici. A cominciare dall’interno della Chiesa stessa: la loro presenza può aiutare i pastori a superare le rigidità inevitabili delle istituzioni, a interpretare i cambiamenti che è possibile comprendere soltanto se si frequentano nelle vicende private e pubbliche. Le relazioni di Gesù con le donne che incontra, che sceglie e che lo scelgono, ci può dire moltissimo sul suo insegnamento ma anche sulla nostra vita quotidiana di uomini e donne. E può dire molto anche alla società e alla chiesa di oggi. «Sarebbe infatti necessario, - afferma Bianchi – che la Chiesa, le chiese, tornassero senza paura semplicemente a ispirarsi alle parole e al comportamento di Gesù verso le donne, assumendo i pensieri, i sentimenti, gli atteggiamenti umanissimi e, nello stesso tempo, decisivi anche per la forma della comunità cristiana e dei rapporti in essa esistenti tra uomini e donne». Su questo versante il ruolo delle donne aspetta ancora di essere valorizzato. Per troppo tempo sono state considerate delle “portatrici d’acqua”, mentre sono acqua viva che irrora la Chiesa con quella “esperienza di Dio” che ne svela il volto materno in tutta la sua tenerezza. Il loro “genio femminile” che «ancor più dell’uomo vede l’uomo, perché lo vede con cuore […] nella normalità del quotidiano» (Lettera di Giovanni Paolo II alle donne), è una fonte insostituibile di evangelizzazione. Mentre la testimonianza della loro vita va accolta «come rivelazione dei valori senza i quali l’umanità si chiuderebbe nell’autosufficienza, nei sogni di potere e nel dramma della violenza» (Lettera ai vescovi del card. Ratzinger, 2004).
di don Salvatore Rinaldi
Rubrica "Fede e Società"
lunedì 22 Gennaio 2018
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