Genitori adottivi - carnali

La genitorialità umana sia nella forma della filiazione naturale sia in quella della filiazione adottiva, è sempre e comunque un riflesso e un sacramento della paternità misericordiosa di Dio.

Così si esprime sant’Agostino in un testo denso e suggestivo: «Non è assurdo dire che uno che ha adottato un figlio lo ha generato, non con la carne, ma con l’amore, e anche noi, ai quali Dio ha dato il potere di diventare figli suoi, non ci ha generati dalla sua natura ed essenza come il suo Figlio unico, ma ci ha adottati parimenti per amore» [Sant’Agostino, De consensu Evangelistarum, lib. 2, 3, 6, (PL 34, 1073)]. Francesco, nell’Esortazione Amoris laetitia, al n. 179 scrive: «Coloro che affrontano la sfida di adottare e accolgono una persona in modo incondizionato e gratuito, diventano mediazione dell’amore di Dio che afferma: “Anche se tua madre ti dimenticasse, io invece non ti dimenticherò mai” (Is 49,15)». Nel vissuto di molti genitori adottivi cristiani che, attraverso l’adozione, sentono di aver ricevuto un dono da Dio, il figlio viene accolto con gratitudine come un dono desiderato e lungamente atteso. In questo l’esperienza dei genitori adottivi è del tutto simile a quella dei genitori carnali: il figlio, carnale o adottivo, è comunque un dono che Dio ci fa e va accolto con gratitudine. Se, dunque, il bimbo adottato fa l’esperienza gratificante di essere accolto come figlio e può riconoscere nell’amore dei genitori adottivi l’amore di Dio Padre che tutti ci accoglie come figli, dall’altra parte anche la famiglia che accoglie un bimbo fa l’esperienza di una comunione di più vasto respiro e viene illuminata dalla grazia di un figlio, dal dono di una persona che, in quanto persona, appartiene solo a se stessa, e che, in quanto figlio, viene affidata loro da Dio. Si legge a questo proposito un bel testo di Familiaris consortio: «Le famiglie cristiane sapranno vivere una maggiore disponibilità verso l’adozione e l’affidamento di quei figli che sono privati di genitori o da essi abbandonati: mentre questi bambini, ritrovando il valore affettivo di una famiglia, possono fare esperienza dell’amorevole e provvida paternità di Dio, testimoniata dai genitori cristiani, e così crescere con serenità e fiducia nella vita, la famiglia intera sarà arricchita dai valori spirituali di una più ampia fraternità» (Giovanni Paolo II, Familiaris consortio, n. 14). «Né mancano famiglie che, al di là del loro quotidiano servizio alla vita, sanno aprirsi all’accoglienza di bambini abbandonati, di ragazzi e giovani in difficoltà, di persone portatrici di handicap, di anziani rimasti soli» (Giovanni Paolo II, Evangelium vitae, n. 26). Questa apertura all’accoglienza si invera in modo tutto particolare nell’adozione: un bambino “estraneo” diventa figlio, una creatura che non è dello stesso sangue viene accolta come figlio al pari dei figli consanguinei, in virtù di un legame spirituale che è diverso dai legami di sangue, ma che sa essere altrettanto forte e irrevocabile. Accogliendo un bambino solo o in difficoltà, la famiglia proclama con le opere il Vangelo della vita e si rivela sempre più una comunità di persone a servizio della vita e protesa al futuro: una famiglia che ama e che spera. La famiglia che accoglie un figlio, accoglie una parola non ancora detta che si dispiegherà nel tempo, si fa custode di una promessa che si illumina di speranza e afferma la vittoria dell’amore.

 

di don Salvatore Rinaldi

Rubrica "Fede e Società"

Articolo di lunedì 29/01/2018

Scrivi commento

Commenti: 0