Conflitti subiti nella famiglia

Le ragioni che conducono due individui a unirsi per formare una coppia costituiscono uno dei misteri più affascinanti ma anche tra i più difficili da risolvere. Pochi rinuncerebbero al profondo piacere, alle gioie e all’eccitazione dell’amore, nonostante i risvolti negativi dell’amore non corrisposto, delle delusioni e della disperazione conseguenti alla fine di un rapporto.

Ma i motivi che ci spingono verso un altro essere umano non possono essere pienamente compresi e resi prevedibili mediante la relazionalità. Le esperienze infantili continuano a far sentire il loro flusso anche in età adulta questa: è cosa nota agli psicologi fin dai tempi di Freud. Capita a molti di scoprire, prima o poi, che certe reazioni scattano automaticamente in determinate situazioni pur non essendo giustificate dal contesto (dal qui e ora, secondo una definizione degli psicologi transazionali). È soltanto in seguito che ci si rende conto di aver esagerato, o frainteso, o perso inutilmente le staffe, poiché sovrastati da un’emozione proveniente da lontano, di cui avevamo smarrito le tracce, ma che era rimasta bene incistata dentro di noi. L’analisi transazionale ha coniato in proposito il concetto di copione: tendiamo a vivere secondo una sceneggiatura inconscia che è stata redatta nei primi anni di vita. A scuola, sul luogo di lavoro, nella vita di coppia come nei rapporti di amicizia, tendiamo a riportare le stesse modalità conflittuali, di rivalità, ribellione, paura o sottomissione che abbiamo vissuto in famiglia, nei rapporti con i genitori, i fratelli, le sorelle. Ovviamente, ciò non si verifica quando i rapporti sono stati sereni, non conflittuali, all’insegna della comprensione reciproca. Il che ci dice come le nostre facoltà raziocinanti non siano separate, nel bene e nel male, da emozioni, impulsi e sentimenti. Tuttavia, una soddisfacente vita professionale così come un matrimonio riuscito possono essere ostacolati non solo da messaggi negativi non elaborati ricevuti nel corso dell’infanzia da figure significative, ma anche dal fatto, opposto, di essere stati eccessivamente viziati, di essersi convinti, per le continue lodi e i continui rinforzi gratuiti, di essere creature eccezionali a cui tutto riesce facile e a cui tutto è dovuto. Un’infanzia viziata può condurre a una serie di difficoltà nella vita adulta. Se uno non ha una consapevolezza realistica delle proprie possibilità e dei propri limiti, gli crolla il mondo addosso quando scopre di non essere il migliore, la più bella, il più capace. Non appena il suo io narcisistico viene posto in discussione, molla tutto dicendo “Non fa per me”, “Non è la cosa giusta per le mie capacità”, “Non è alla mia altezza”, pur di non ammettere che è lui/lei a non essere all’altezza del compito. In questo caso si tratta di cambiare prospettiva e di acquisire un’immagine più realistica di sé e degli altri, del proprio valore, dei propri e altrui desideri, sentimenti e stati mentali. Per ricorrere a un termine molto usato dagli psicologi, si tratta di mentalizzare la realtà psicologica propria e altrui. Capire, senza sovrapporsi, ciò che succede dentro di sé e nella mente degli altri. In altre parole, saper leggere i propri stati d’animo, emozioni, intenzioni, e quelli altrui, senza confonderli.

 

di don Salvatore Rinaldi

Articolo di lunedì 5 Febbraio 2018

Rubrica "Fede e Società"

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