Non abortiamo la nuova umanità

Nel tempo di Pasqua la liturgia propone brani scritturistici meravigliosi, che ci testimoniano la contemporaneità del Risorto. Nel capitolo 24 del Vangelo di Luca, al versetto 25 è possibile leggere: «Allora [Gesù] aprì loro la mente per comprendere le Scritture», cioè la storia di Dio nel mondo. Le Scritture, infatti, sono la lettura dell’intervento di Dio nella storia degli uomini, perché è Dio che porta avanti la sua storia e l’uomo dà risposta a quest’azione di Dio. 

Oltre questa consapevolezza, sappiamo anche che nella pienezza dei tempi Dio si è fatto uomo. Quindi coloro che continuano quotidianamente a nutrirsi della sua Parola e dalla sua Presenza reale, lo fanno perché credono che Dio si è fatto uomo, che è presente nel nostro “hic et nunc” e che e non è un fantasma, ma è vivo e opera in mezzo a noi. Per quale motivo Dio è vivo e opera in mezzo a noi? Perché da parte nostra c’è il desiderio di avere una vita diversa. Se però in noi non c’è questo desiderio di avere già da oggi una vita diversa, allora sta a significare che noi l’Uomo di Nazareth non l’abbiamo incontrato o che non abbiamo alcuna intenzione di incontrarlo. In questo caso è bene ribadire che non c’è bisogno di uomini che assolvano un precetto, bensì di uomini che siano testimoni, di uomini che siano testimoni della nuova umanità. Questa nuova umanità è già iniziata da 2000 anni, in molti ci credono e ci sono molti testimoni. Eppure, ci sono persone che io frequento e che voi frequentate che invece di farci vedere questa nuova umanità, vogliono a tutti i costi abortire e farci abortire questa nuova umanità, che almeno in noi sta per venire fuori. Un aborto è una realtà che già c’è, una persona che già c’è, ma io voglio che non ci sia, voglio porre fine alla sua esistenza. E questo noi facciamo ogni qual volta non vogliamo far crescere la nuova umanità, ogni qual volta non la vogliamo più portare dentro di noi. A questo punto, se cioè scegliamo di abortirla, diventerebbe inutile per noi anche continuare a sperare in cieli nuovi e terra nuova. Se crediamo che Gesù è vivo in mezzo, allora perché tanti tra noi preferiscono piuttosto essere paralizzati che camminare? Com’è possibile che pur avendo tutte le possibilità per camminare, molti di noi preferiscano ancora portare le stampelle? Torniamo un attimo al capitolo 24 del Vangelo di Luca citato in apertura; al versetto 36 è possibile leggere: «Gesù in persona stette in mezzo a loro e disse: “Pace a voi!”». Ebbene, quando Gesù mi incontra, subito mi chiama alla serenità. Il suo saluto è un dono buono. Lui bussa alla mia vita, entra nella mia casa e porta Pace: pace con me stesso, pace con chi mi è vicino, pace con chi è lontano. Appare come un amico sorridente, a braccia aperte, e mi accoglie con un regalo: c’è Pace per te. Nonostante tutto ciò io, con la mia paura e incredulità, genero in Gesù un lamento: «Non sono un fantasma!» (cfr. Lc 24,38-39), lo induco ad affermare. E in questa sua affermazione è racchiuso il suo desiderio di essere accolto come un amico che torna da lontano, un amico da stringere con slancio e da abbracciare con gioia. I verbi che usa in questa occasione sono: “guardate”, “toccate”, “mangiamo insieme”. Il ruolo dei discepoli e dunque nostro è quello di aprirci con tutti i sensi a un gesto potente, a una persona amica, a uno stupore improvviso. Non dobbiamo vergognarci della nostra fede lenta, ma dobbiamo essere testimoni che Egli non è un fantasma, è Potenza di vita, vive in noi e talvolta vive persino al posto nostro. Il dover ribadire da parte di Gesù: «Sono proprio io» (Lc 24,39) è sinonimo che gli undici – e non solo loro – devono allenare lo sguardo e il cuore per riconoscerlo. Solo così possono superare i dubbi e le paure per smascherare attese false o proiezioni dei loro desideri. Così Gesù, per farsi riconoscere e per togliere ogni incertezza, invita a guardare i segni della passione, segni distintivi della sua Presenza e della sua Verità. La Buona Notizia non è solamente che un morto è ritornato in vita, ma che ha sconfitto la morte e ora è il Vivente. Pertanto la resurrezione non può prescindere dalla passione. Ma vi è un terzo elemento: la missione. Avere fede è credere che Gesù è una persona. Noi tante volte rimaniamo inerti: vediamo segni che ci dicono la resurrezione del Signore, ma non sappiamo abbandonarci alla gioia.

 

 

 

di don Salvatore Rinaldi

Articolo di lunedì 23 Aprile 2018

Rubrica "Fede e Società!

Scrivi commento

Commenti: 0