«Nel progetto di Dio, la comunicazione umana è una modalità essenziale per vivere la comunione. L’essere umano, immagine e somiglianza del creatore, è capace di esprimere e condividere il vero, il buono, il bello. È capace di raccontare la propria esperienza e il mondo, e di costruire così la memoria e la comprensione degli eventi».
Sono le parole del messaggio di Papa Francesco per la LII Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali. Ci richiamano la centralità della nostra capacità di comunicare nella relazione. Il punto di vista sociologico ci aiuta a comprendere quanto la rivoluzione digitale ha influenzato in modo determinante le relazioni tra le persone. Il cambiamento è proprio antropologico perché con l’accesso alle informazioni e alla inflazione mediatica che viviamo, sembra diventare sempre più attuale il principio di Nietszche per cui «non ci sono fatti ma solo interpretazioni» (Claudio Gentili, in Servire n.1 pag. 4-7; 2018). Dal punto di vista filosofico «La verità è buona quando racconta la complessità e il divenire, perché la realtà è complessa e diveniente». Ed è proprio questa consapevolezza che deve farci intravedere la possibilità di conciliare il desiderio di comunicare con tutti i mezzi oggi possibili con la ricerca faticosa della verità nell’esercizio continuo del discernimento e del senso critico. La fatica della complessità (in forte contrapposizione con la facilità di accesso e di generazione di informazioni) deve far prevalere l’etica della responsabilità anche su quella della propria convinzione (Gianmaria Zanoni – Servire n.1 pag. 8-11; 2018). La rivoluzione digitale della comunicazione investe ogni aspetto della nostra vita, Laura Giliberti analizza in modo critico quanto l’esercizio disinvolto della rete è diventato rilevante nello scenario politico perché «l’informazione basata sui fatti permette ai cittadini di controllare i propri governanti e esercitare il potere attraverso il voto, la critica pubblica e la partecipazione. Il contrario apre la strada a manipolazioni che hanno da sempre favorito tendenze e regimi autoritari» (Laura Giliberti – Servire n.1 pag. 22-27; 2018). Comunicando dovremmo entrare in relazione con gli altri. La cosa non è scontata e la storia del pensiero, come la storia dell’arte, è piena di riflessioni sull’incomunicabilità e sulla conseguente solitudine. Così si è detto che ogni uomo è un’isola, l’inferno sono gli altri… ecc. La verità è stata sostituita con l’opinione, che è apparsa subito molto più simpatica, con minori pretese, minor superbia e, soprattutto, incapace d’infastidire il prossimo, perché assolutamente libera da qualsiasi studio, approfondimento, verifica. La verità è l’unica premessa possibile per la comunicazione e quindi per entrare in relazione con gli altri. Ma se la verità buona è quella che parla di divenire e di complessità, non è più possibile, come non lo è mai stato, distinguere negli atteggiamenti relazionali un’etica della responsabilità. Non esistono, quindi, verità buone e verità cattive, ma esiste un cattivo uso di quelle verità, che avrebbero potuto essere buone, ma che sono state snaturate. Quando una verità non può esprimere la propria intrinseca forza, la propria naturale apertura alla complessità e al divenire, e quindi al proprio logico e coerente superamento, quando una verità è costretta a piegarsi e a rinchiudersi nell’imposizione autoritaria, nell’immobile dogmatismo, allora quella verità è già morta, si è già trasformata nel suo opposto ed è divenuta menzogna. Perché la Verità, che è una e che è sempre la stessa, non è una mummia, un morto cadavere, ma è il Vivente per eccellenza. Papa Francesco, per la 52° giornata mondiale della comunicazione, applica alla comunicazione la dottrina cattolica circa l’uomo: l’uomo come creatura di Dio è positività; quando l’uomo segue il suo orgoglio egoistico distorce la sua stessa bellezza; per ritornare in possesso della sua piena positività deve esercitarsi nella responsabilità. Questo discorso cristiano applicato alla comunicazione si esprime così: la comunicazione è realtà essenziale per vivere la comunione, esprimere il bene, il vero e il bello, raccontare la propria esperienza e il mondo. Se e quando l’uomo si abbandona all’orgoglio egoistico distorce la relazione e la verità. Il ritorno alla vera comunicazione necessita di responsabilità nella ricerca della verità e nella costruzione del bene. Le notizie false – prosegue Papa Francesco – sono praticate per precisi motivi: influenzare le scelte politiche e favorire ricavi economici. Papa Francesco individua la causa principale del crearsi e del diffondersi di notizie false nella “bramosia insaziabile del comunicare”, che nulla ha a che fare con il condividere come potenzialità dei social media. La bramosia del comunicare altro non è del resto che l’estensione della bramosia del potere e del denaro, dell’avere e del godere. L’esito di una mancanza di resistenza alle notizie false è descritto dal Papa con una citazione di Dostoevskij che non ha bisogno di commento: «chi mente a sé stesso e ascolta le proprie menzogne arriva al punto di non poter più distinguere la verità, né dentro di sé, né intorno a sé, e così comincia a non avere più stima né di sé stesso, né degli altri, poi, siccome non ha più stima di nessuno, cessa anche di amare, e allora, in mancanza di amore, per sentirsi occupato e per distrarsi si abbandona alle passioni e ai piaceri volgari, e per colpa dei suoi vizi diventa come una bestia; e tutto questo deriva dal continuo mentire, agli altri e a sé stesso» (I fratelli Karamazov, II, 2).
di don Salvatore Rinaldi
Articolo di lunedì 30/04/2018
Rubrica "Fede e Società"
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