«Posso tollerare la mia fame, la mia tribolazione, i miei mali: non posso tollerare che vi siano creature che muoiono di fame, che non abbiano lavoro, che vengano oppresse e deportate, messe al muro e liquidate» (Primo Mazzolari).
Sono gli ultimi, gli scarti, gli emarginati, i disoccupati, i profughi, i senza fissa dimora, i poveri, i non consumatori, i disperati, i disgraziati, le solitudini subite… Per dirla con Francesco, «l’ossessione per uno stile di vita consumistico, soprattutto quando solo pochi possono sostenerlo, potrà provocare soltanto violenza e distruzione reciproca» (LS 204). È il caos sociale, frutto della modernità liquida. Il male che minaccia l’umanità è prima di tutto un peccato sociale. La violenza è la radice di tutti i mali. La malvagità non è abbastanza forte da distruggere tutto l’universo, perché basta un solo giusto a far ripartire la creazione. Ciò significa che Dio non ha fallito nel dare all’uomo la responsabilità dell’umanità. Può contare sul giusto. Almeno uno ha risposto alle sue attese. E la giustizia di uno solo è sufficiente per offrire motivi di speranza. La comunità cristiana può diventare questo segno nel tempo odierno. Non attraverso la tentazione del potere o del dominio, ma grazie al servizio. C’è bisogno di formare “uomini giusti” capaci di traghettare l’umanità nella società liquida. Ci sono motivi per coltivare la fiducia: «Non è tutto perduto, perché gli esseri umani, capaci di degradarsi fino all’estremo, possono anche superarsi, ritornare a scegliere il bene e rigenerarsi, al di là di qualsiasi condizionamento psicologico e sociale che venga loro imposto. Sono capaci di guardare a sé stessi con onestà, di far emergere il loro disgusto e di intraprendere nuove strade verso la vera libertà. Non esistono sistemi che annullino completamente l’apertura al bene, alla verità e alla bellezza, né la capacità di reagire, che Dio continua ad incoraggiare dal profondo dei nostri cuori. Ad ogni persona di questo mondo chiedo di non dimenticare questa sua dignità che nessuno ha diritto di toglierle» (LS 205). Il recente magistero di papa Francesco ha indicato un itinerario per la Chiesa: mettersi in ascolto dei movimenti sociali e offrire loro occasioni di organizzarsi. Intorno a terra, casa e lavoro si può costruire un’arca di salvataggio dalla violenza odierna, che non uccide solo con le armi, ma per sottrazione di relazioni e per negazione di esistenza. Il punto di partenza è il protagonismo degli “scarti umani”. Segno che la fede non si rassegna al peggio. Preferisce organizzare la fraternità piuttosto di scadere in una sterile lamentela per ciò che non va. Proprio per questo il lavoro è ancora la chiave di volta della questione sociale, anche se, dopo Laudato si’, va pensato con più coraggio, come occasione per salvaguardare il progetto di Dio sulla creazione. Attraverso il lavoro si costruisce un tessuto relazionale e si custodisce il mondo, creato dal Padre e redento in Gesù Cristo. L’etica è la bussola, capace di prendere per mano e accompagnare gli uomini di buona volontà al servizio della casa comune. Siamo capaci di bene, di rialzarci: la corruzione, la violenza e la morte non sono l’ultima parola sulla storia. Il nostro compito: tornare a prendere per mano e accompagnare, invitare a rialzarsi, suscitare nostalgie di bene, mostrare percorsi possibili. Ecco la vera svolta: abbandonare la tentazione di andare a caccia di nemici, di manovratori di interessi, per dedicarci a progettare luoghi di fraternità. Di umanità riuscita. Di condivisione gratuita. La filosofa Hannah Arendt era convinta che «gli uomini, anche se devono morire, non sono nati per morire ma per incominciare».
di don Salvatore Rinaldi
Articolo di lunedì 28 Maggio 2018
Rubrica "Fede e Società"
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