Quale punto di riferimento per gli adolescente?

Per capire gli adolescenti di oggi dobbiamo analizzare attentamente il contesto in cui viviamo ed evidenziare la complessità dei fenomeni e dei mutamenti culturali, economici, sociali, familiari. Tali mutamenti hanno determinato nuove immagini di uomo e di donna e nuovi stili di vita, con caratteri decisamente diversi da quelli di 20-30 anni fa. 

La consapevolezza del cambiamento odierno, deve portare ad un’apertura che implica il tentativo “sincero” di comprensione di quello che sta cambiando nella realtà sociale e di come stanno cambiando i giovani. Le trasformazioni tecnologiche di questi nostri tempi impongono mutamenti velocissimi, questo dover cambiare continuamente coinvolge tutti gli àmbiti della vita: culturale, familiare, sociale, sentimentale-affettiva e l’ansia di concludere tutto in poco tempo, senza neppure preoccuparsi dei processi di crescita e di chi ci sta accanto. Il “brevismo”, come ansia dell’esito ed incapacità di attesa, produce danni profondi, soprattutto in àmbito educativo dove vi sono eventi e  situazioni che a breve termine non possono essere fruttuosi, anche perché i traguardi più importanti (spesso) implicano tempi lunghi, sedimentazioni, riflessioni, soste. A seguire l’onda veloce del “prima possibile”, ci si ritrova a dover cercare delle soluzioni sempre provvisorie e mai “definitive”; termine, quest’ultimo, bandito dal lessico dell’individuo postmoderno e, a maggior ragione, dell’adolescente. Inoltre, la nuova concezione di libertà - intesa sia come possibilità di fare ciò che si vuole senza tenere conto della responsabilità che si ha per l’altro, sia come possibilità di accedere a opportunità sempre nuove, contemporaneamente qui e altrove - porta a vivere le scelte affettive e relazionali come opzioni sempre mutevoli, reversibili, e mai definitive, in rapporti spesso senza legami. In un processo inversamente proporzionale, al crescere della libertà personale degli adolescenti è correlato il decrescere delle certezze e dei criteri per operare scelte ponderate. Nella società digitale, quindi, per velocizzare i tempi tutto viene abbreviato: dal linguaggio virtuale (si scrive per single o in “angloide”) agli instat message, dalle emoticon (che semplificano una frase con una faccina o un oggetto) alle e-mail, dai messaggi o dalle foto che si autodistruggono all’autocancellazione dei dati per proteggere la privacy, dalla (quasi) scomparsa del cartaceo alla digitalizzazione della nostra vita personale, professionale, sentimentale, istituzionale. L’uomo e la donna postmoderni si ritrovano, perciò, ad avere sempre maggiori possibilità di contatto e di vicinanza, ma paradossalmente ad essere sempre più soli, privi cioè non soltanto di compagnia e di presenza ma anche di comunità. Tutto ciò complica e arricchisce il disagio umano e, in particolar modo, quello degli adolescenti, che è sempre frutto del disagio del mondo adulto, del suo non saper più rispondere alle domande esistenziali. A sua volta, il disagio dei giovani esaspera le contraddizioni e i disagi dell’adulto, il quale non sa come affrontare la crisi dei giovani, la loro contestazione ad oltranza, il loro sembrare disinteressati a tutto, il loro restare perennemente incollati allo smartphone come se il mondo si risolvesse tutto in quei pochi centimetri. È un mondo che dà tanta libertà, ma non dà più una direzione o, meglio, offre troppe direzioni nelle quali il giovane rischia di smarrirsi se non viene aiutato a discernere i criteri con cui orientarsi a scegliere. I giovani, quindi, si ritrovano a vivere in modo implicito l’angoscia di appartenere ad un mondo che non dà sicurezze, che non indica strade sicure, che non ha modelli di riferimento a cui tendere, per cui il senso della vita lo devono scoprire da sé, proprio perché sempre più spesso non è vissuto né in famiglia, né nella comunità sociale. Un problema fondamentale, infatti, che accresce il disagio degli adolescenti consiste nel fatto che l’adulto non è più un punto di riferimento come lo era in precedenza. I giovani, infatti, non riescono più a vedere nell’adulto di oggi una persona utile e necessaria per orientarsi, per trovare senso alle loro domande e soluzioni ai loro problemi, poiché realizzano che accanto a loro c’è, sì, un adulto biologico, ma di fatto è un “adultescente” (un misto di adolescente e adulto) che non “vuole” crescere, incapace di assumersi responsabilità e alla continua ricerca della propria libertà e autorealizzazione. A rendere folta la schiera dei cosiddetti “adolescenti di ritorno” sono proprio i quarantenni ed i cinquantenni di oggi, che fuggono dalle difficoltà, che rifiutano di diventare adulti sebbene lo siano anagraficamente ed abbiano già alle spalle più matrimoni o convivenze, che tornano a vestire come i loro figli (se li hanno), che frequentano i loro stessi locali, che possono ancora dipendere dagli aiuti economici dei genitori anziani.

 

di don Salvatore Rinaldi

Articolo di lunedì 18 giugno 2018

Rubrica "Fede e Società"

Scrivi commento

Commenti: 0