Signore, insegnaci a pregare (Lc 11,1)

La secolarizzazione e le ideologie non hanno annullato il bisogno di spiritualità e contatto con Dio. Molti uomini e donne del nostro tempo non trovano più solo nella razionalità, nella scienza o nella tecnologia il senso della vita e dell’agire e si volgono con rinnovato interesse al soprannaturale o alla trascendenza. 

Il rapporto con il divino accompagna da sempre il percorso dell’umanità nella storia: mutano le forme e lo stile attraverso cui si esprime, ma il desiderio (e il bisogno) dello spirituale permane, anche se non manca mai la voce di chi grida che gli dèi hanno abbandonato il mondo. Da un punto di vista antropologico l’esperienza della preghiera è una realtà naturale, come il respiro; comporta un’immediatezza che non ha bisogno di riflessioni preliminari, in quanto precede ogni pensiero. In ambito cristiano, l’azione del pregare si arricchisce di nuovi orizzonti di significato e trova la sua origine nell’ascolto di Dio, che precede il nostro sforzo: prima della ricerca umana, infatti, c’è la rivelazione di Dio che ha «alzato il velo» e si è fatto conoscere all’uomo. Lo aveva compreso anche Agostino: «Non lo cercheresti se egli non ti avesse cercato per primo». La preghiera suscita molti interrogativi che non possono essere ignorati, soprattutto dai credenti più sensibili e avveduti, anche perché oggi la comprensione del “fenomeno” si colloca all’interno di una religiosità che non si identifica più necessariamente con le proposte offerte dalla tradizione, in primis quella cristiana. Oltre a ciò, la preghiera è anzitutto un’esperienza che “si vive”, ma non può mancare il momento della riflessione. Essa è anche una realtà da conoscere e apprendere («Signore, insegnaci a pregare»: Lc 11,1), nella consapevolezza delle difficoltà e delle obiezioni che possono affiorare dentro e fuori il cuore dell’uomo. Non basta l’intenzione, la preghiera deve essere detta e vissuta perché nel dire avviene il dialogo tra l’orante e il destinatario della preghiera stessa. Occorre riscoprire la forza e il dinamismo del dire, come «luogo» in cui si manifesta la tensione del soggetto verso il mondo e verso Dio. La forza della preghiera è tanto più grande quanto più è la vita a suscitarla. La preghiera nasce dalla vita vissuta, dai suoi bisogni e dalle paure. Imparare a pregare vuol dire imparare a vivere con pienezza; sarà poi la vita affrontata seriamente a richiedere e a far sorgere la preghiera con molte domande. In una parabola del Vangelo di Luca si racconta di un uomo che, nel cuore della notte, andò a svegliare un amico per avere dei pani (cf. Lc 11,5-8). Per Gesù che raccontava questa parabola, l’amico da svegliare è Dio, che abita nel cuore dell’uomo. Dio è sempre sveglio, ma la sua forza si fa sentire solo quando chi lo prega, sveglia se stesso. Gesù ha insegnato a pregare ai suoi discepoli dopo molto tempo, quando loro stessi ne ebbero bisogno e glielo chiesero. Non disse mai: «Silenzio! Adesso inizia la preghiera». Poiché la preghiera che si atteggia a preghiera è una recita, un’esecuzione, anziché essere quella passione che nasce dalla vita di chi chiede giustizia al giudice, che deve rendergli giustizia necessaria per la vita. È dato comune a tutte le tradizioni religiose che non si giunge alla vera comunione con Dio se non attraverso il silenzio della preghiera. Bisogna mettere in luce la necessità che la religione recuperi il suo carattere originario di esperienza reale di relazione con il divino capace di incidere efficacemente nella vita. Nel caso contrario, ridotta a organizzazione sociale, a sistema dottrinale o a un insieme di principi e norme etiche, non può che diventare sempre più irrilevante e insignificante per la vita dell’uomo. L’esperienza religiosa, identificata essenzialmente, in quanto contatto e relazione con il divino, con la preghiera, non si limita a produrre nell’uomo emozioni e sentimenti, ma opera una trasformazione radicale della sua vita e, di conseguenza, della vita del mondo. L’efficacia appare essere così un elemento decisivo ed essenziale sia della religione come della preghiera, dal quale viene a dipendere pure la questione della loro verità. Ogni umana preghiera è assunta da Cristo ed elevata dal Padre nell’unico Spirito. Per questo pregare nella prospettiva di una larga comunione spirituale con tutti coloro che aprono il loro spirito a Dio, è partecipare nel battito del cuore che offre una vitalità spirituale a tutto il genere umano. Inoltre, in ogni preghiera creaturale si esprimono i sentimenti umani più profondi: gioia, dolore, umiliazione, sconfitta, attesa, speranza, amore, vita… Tutto può diventare espressione di lode, di stupore per le meraviglie del creato. Altre volte è l’apertura verso Dio nel pentimento, richiesta di perdono, disponibilità per l’offerta della propria vita. Oppure lamentazione, supplica, domanda per sé o per gli altri. Ogni preghiera creaturale suppone, in fondo, due verità fondamentali, e in questo siamo in comunione con tutti coloro che pregano: la verità della finezza dell’uomo, che si apre verso il suo Creatore esprimendo il mistero della sua dipendenza da lui; e la verità della grandezza di Dio, anche se vagamente percepita e non completamente confessata, se l’orante è privo della piena rivelazione che è data solo in Cristo. Il cristiano deve capire fino in fondo qual è la sua creaturalità, qual è la realtà e il dinamismo della sua preghiera resa possibile attraverso la rivelazione e il dono in Cristo della filiazione adottiva.

 

di don Salvatore Rinaldi

Articolo di lunedì 25 giugno 2018

Rubrica "Fede e Società"

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