L'adulto in alleanza con l'adolescente

Una delle operazioni più difficili da realizzare è quella di mettersi in ascolto degli adolescenti per apprendere da loro, proprio perché, conoscendo loro, l’adulto imparerà a conoscere più intimamente anche se stesso. I giovani sono lo specchio del mondo adulto e le loro preoccupazioni sono il frutto amplificato delle preoccupazioni degli adulti. 

Ciò che a prima vista osserviamo degli adolescenti è che sono fragili affettivamente, altamente competitivi, indipendenti ma non autonomi, spesso angosciati delle stesse paure dell’adulto ma senza la giusta distanza dai fatti e - come gli adulti – sono alla ricerca spasmodica della felicità (fino allo “sballo”) a tutti i livelli e in qualsiasi aspetto dell’esistenza. Inoltre sono autoreferenziali, hanno ansia di protagonismo, tendono alla idealizzazione immediata dell’altro e l’istante dopo alla svalutazione e umiliazione dell’altro rendendo di pubblico dominio gli aspetti più intimi della sua vita, mettendo tutto in rete e sui social. Per noi adulti, una delle prime strade da percorrere è di uscire da una semplicistica attribuzione di colpa senza comprendere i perché che stanno dietro alle azioni degli adolescenti e, in quanto adulti, assumerci la responsabilità delle cose, poiché siamo noi a costruire la comunità alla quale anche i giovani appartengono e verso la quale si stanno  ribellando. Infatti, un modo veloce e sbrigativo di reagire  alle difficoltà dei giovani da parte degli adulti è quello di etichettare negativamente le nuove generazioni come quelle dei “senza”: senza valori, senza tempo, senza futuro, senza sensibilità, senza rispetto. Piuttosto che giudicarlo o etichettarlo, invece, è tatticamente utile essere in alleanza con l’adolescente, che non significa essere connivente o dire di approvare le sue scelte quando non si condividono. “Alleanza” significa ascoltare l’adolescente empaticamente, cercando di comprendere il suo punto di vista, i suoi valori, i suoi schemi di riferimento, le sue domande. Significa, ancora, mettersi dalla sua parte e lasciarsi incuriosire da ciò che ci racconta, anche se è diverso dal nostro modo di vedere le cose. Significa, in ultima analisi, diventare un po’ meno competenti e un po’ più stupidi per divenire più stupiti. Essere in alleanza con il giovane presuppone il nostro essere autentici, che non implica essere a tutti i costi sinceri. Talvolta, infatti, la sincerità - dire e fare ciò che si pensa e si sente – può diventare una crudeltà. L’autenticità, invece, è dire e fare ciò che si sente e si pensa ma guardando l’altro, tenendolo sempre presente, tentando di capire e sentire se è capace di prendere con sé ciò che gli stiamo dicendo o, invece, se per lui è troppo pesante e quindi inutile da dire in quel momento. Ciò implica il restare sempre aperti a ciò di cui egli ha bisogno, e non noi adulti. Essere in alleanza significa aiutare l’adolescente a discernere problemi, aspirazioni, intenzioni, dandogli fiducia nel rispetto della libertà personale reciproca, restando accanto a lui anche in situazioni particolarmente difficili e trasgressive, senza giudicarlo. Una volta creato il clima di fiducia, sarà possibile dirgli dei rotondi e flessibili “no”, motivati nelle loro ragioni di senso, che aiutano a crescere più dei falsi o ambigui “sì”, o dei “no” senza spiegazioni. Riuscire a dare spazio anche alla stima e all’affetto farà sentire l’adolescente riconosciuto, una persona degna di stima, attenzione e affetto. Il ragazzo, anche se a volte predilige l’ermetismo e la misteriosità, ha bisogno di essere ascoltato nella sua diversità, nella sua ricerca di senso, nelle sue contraddizioni e nei suoi dubbi. In questa fase non ha bisogno di certezze indiscutibili né di sicurezze che lo schiacciano, ma di sperimentare il suo essere e il suo divenire con fiducia, paura e forza. Un altro elemento fondamentale nella relazione con l’adolescente è fare in modo che apprenda la co-centralità, che richiede l’integrazione di appartenenza e differenza. Per educare alla co-centralità è basilare sia far emergere già nei bambini la curiosità del punto di vista dell’altro, sia vivere la diversità come ricchezza e non come lotta di potere o di valore. I sentimenti di tolleranza e di rispetto sono propedeutici all’essere-con, alla collaborazione, alla partecipazione comunitaria e sociale. Ogni individuo apprende tutte queste “impostazioni di base” nelle relazioni cosiddette primarie, cioè con i genitori e con la fratria. È lì che impara ad entrare in contatto con l’altro e con il mondo, la differenza tra maschio e femmina, tra piccolo e grande, tra debole e forte, tra potere e sottomissione, tra regola e libertà. Il bambino apre il proprio sguardo sul mondo a partire da quello che ha sperimentato sulla propria pelle, ma anche attraverso quello che provano i genitori e quello che i genitori sono con il figlio. In adolescenza, tutti quei comportamenti che a volte risultano incomprensibili agli occhi degli adulti non sono altro che i segnali di un ragazzo che sta provando a dire la sua difficoltà di andare avanti, che qualcosa si è inceppato, che il suo mondo emozionale ed affettivo è troppo agitato e confuso.

 

di don Salvatore Rinaldi

Articolo di lunedì 9 Luglio 2018

Rubrica "Fede e Società"

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