Politica familiare

La politica familiare non può non avere precedenza su tutto il resto: precedenza anche nei tempi di intervento, e comunque come criterio per valutare o “misurare” ogni altro intervento. La politica familiare deve essere considerata uno degli elementi fondanti, centrali e strutturanti dell’intera azione politica.

 

 

Sono cambiate in profondità le abitudini, la sensibilità culturale, gli stili di vita, non vi sono più sicurezze scontate. Sono cambiamenti e trasformazioni ancora in atto, che generano di continuo problemi nuovi e che alimentano spesso il senso dell’incertezza e dell’insicurezza, per la perdita di alcuni punti di riferimento una volta garantiti. E ora non abbiamo altra scelta che imparare ad affrontare con intelligenza, responsabilità e coraggio la nuova situazione, leggendo e interpretando i notevoli cambiamenti in atto alla luce dell’uomo, della sua dignità, ossia dei suoi diritti e doveri. Sì, la fede non ci estranea dalla storia, ma in essa ci immerge in modo profondo e, offrendoci uno sguardo più limpido e penetrante, ci guida e ci sostiene nell’individuare la direzione più giusta, la linea di orientamento più sicura per un esercizio autentico della nostra responsabilità, chiamata a ispirarsi al fondamentale principio del rispetto e della promozione della dignità della persona. Già nel 1967, affermava Paolo VI nell’enciclica Populorum progressio: «Lo sviluppo non si riduce alla semplice crescita economica. Per essere autentico sviluppo, deve essere integrale, il che vuol dire volto alla promozione di ogni uomo e di tutto l’uomo» (n.14). pertanto, uno sviluppo che mettesse al centro altri valori diversi da quello dell’autentica promozione umana, sarebbe uno sviluppo che genera derive pericolose, disumane e disumanizzanti: finirebbe per essere un “regresso”, rendendo schiavi gli uomini e più povera l’umanità intera. Sto pensando al lavoro nero o sottopagato al quale sono costretti non pochi dipendenti, tra cui, specialmente, gli uomini e donne immigrati. Non rispettare la loro dignità di persone, trattarle ingiustamente perché si sfrutta la loro condizione di particolare bisogno, è come strappare loro la speranza dal cuore e per tutti noi significa perdere la sfida di qualificarci come persone coerenti a quei princìpi che rendono nobile una cultura e grande una civiltà. Sto pensando anche a quelle condizioni di lavoro in cui l’uomo rischia di essere considerato non come persona ma come strumento da utilizzare al limite delle sue possibilità per conseguire obiettivi produttivi sempre più elevati: così finisce per porre le premesse per incidenti anche mortali. È anzitutto in ambito familiare che si ripercuotono concretamente le dinamiche dei cambiamenti, spesso con gravi conseguenze che generano paure, interrogativi, incertezze, preoccupazioni: cose che a volte minacciano l’armonia e la serenità dei rapporti familiari, tra coniugi, tra genitori e figli, tra famiglie. Le famiglie non possono essere lasciate sole, soprattutto ora, mentre sono in atto trasformazioni economiche e sociali così forti e sostanziali. Hanno bisogno di essere messe nelle condizioni di vivere il loro nativo e originale protagonismo, potendo così sviluppare appieno la loro parte, contribuendo con il loro modo unico e originale di servire l’uomo in ogni condizione, i suoi valori veri, le sue esigenze globali e profonde. Sono allora indispensabili politiche familiari più adeguate, più concrete e sostanziali, in grado di rispondere ai bisogni effettivi di una famiglia oggi, che trova nel lavoro la sua principale risorsa, premessa indispensabile per la realizzazione di tutte le sue finalità, a favore delle persone che la compongono e della società stessa. Non si tratta semplicemente di assicurare qualche piccolo aiuto “esterno” alla famiglia, di offrire qualche sussidio per i più precari; si tratta piuttosto di saper guidare i cambiamenti a misura di famiglia, a partire dal fatto innegabile che il futuro della società si costruisce sulla famiglia. Alle donne che lavorano, non basta affermare il diritto alle pari opportunità, occorre realizzare le condizioni concrete per consentire alle madri di coniugare lavoro e famiglia: non discriminando le lavoratrici che chiedono il part time, attrezzando un numero adeguato di asili nido e scuole dell’infanzia… solo se una società sostiene la famiglia, salvaguardandone e promuovendone i valori, sostiene se stessa. Proprio in questi termini si esprimeva Giovanni Paolo II nell’enciclica Centesimus annus (01.05.91): «È urgente promuovere non solo politiche per la famiglia, ma anche politiche sociali che abbiano come principale obiettivo la famiglia stessa, aiutandola, mediante la assegnazione di adeguate risorse e di efficienti strumenti di sostegno, sia nell’educazione dei figli sia nella cura degli anziani, evitando il loro allontanamento dal nucleo familiare e rinsaldando i rapporti tra le generazioni» (n. 49). Come si vede, il corretto rapporto tra famiglia e lavoro suppone il riconoscimento che il ruolo delle istituzioni è quello di servire la famiglia, e non viceversa. Le istituzioni sono chiamate a incoraggiare e sostenere forme di lavoro che siano compatibili con le esigenze non solo personali e sociali, ma anche specificamente familiari.

 

Sono cambiate in profondità le abitudini, la sensibilità culturale, gli stili di vita, non vi sono più sicurezze scontate. Sono cambiamenti e trasformazioni ancora in atto, che generano di continuo problemi nuovi e che alimentano spesso il senso dell’incertezza e dell’insicurezza, per la perdita di alcuni punti di riferimento una volta garantiti. E ora non abbiamo altra scelta che imparare ad affrontare con intelligenza, responsabilità e coraggio la nuova situazione, leggendo e interpretando i notevoli cambiamenti in atto alla luce dell’uomo, della sua dignità, ossia dei suoi diritti e doveri. Sì, la fede non ci estranea dalla storia, ma in essa ci immerge in modo profondo e, offrendoci uno sguardo più limpido e penetrante, ci guida e ci sostiene nell’individuare la direzione più giusta, la linea di orientamento più sicura per un esercizio autentico della nostra responsabilità, chiamata a ispirarsi al fondamentale principio del rispetto e della promozione della dignità della persona. Già nel 1967, affermava Paolo VI nell’enciclica Populorum progressio: «Lo sviluppo non si riduce alla semplice crescita economica. Per essere autentico sviluppo, deve essere integrale, il che vuol dire volto alla promozione di ogni uomo e di tutto l’uomo» (n.14). pertanto, uno sviluppo che mettesse al centro altri valori diversi da quello dell’autentica promozione umana, sarebbe uno sviluppo che genera derive pericolose, disumane e disumanizzanti: finirebbe per essere un “regresso”, rendendo schiavi gli uomini e più povera l’umanità intera. Sto pensando al lavoro nero o sottopagato al quale sono costretti non pochi dipendenti, tra cui, specialmente, gli uomini e donne immigrati. Non rispettare la loro dignità di persone, trattarle ingiustamente perché si sfrutta la loro condizione di particolare bisogno, è come strappare loro la speranza dal cuore e per tutti noi significa perdere la sfida di qualificarci come persone coerenti a quei princìpi che rendono nobile una cultura e grande una civiltà. Sto pensando anche a quelle condizioni di lavoro in cui l’uomo rischia di essere considerato non come persona ma come strumento da utilizzare al limite delle sue possibilità per conseguire obiettivi produttivi sempre più elevati: così finisce per porre le premesse per incidenti anche mortali. È anzitutto in ambito familiare che si ripercuotono concretamente le dinamiche dei cambiamenti, spesso con gravi conseguenze che generano paure, interrogativi, incertezze, preoccupazioni: cose che a volte minacciano l’armonia e la serenità dei rapporti familiari, tra coniugi, tra genitori e figli, tra famiglie. Le famiglie non possono essere lasciate sole, soprattutto ora, mentre sono in atto trasformazioni economiche e sociali così forti e sostanziali. Hanno bisogno di essere messe nelle condizioni di vivere il loro nativo e originale protagonismo, potendo così sviluppare appieno la loro parte, contribuendo con il loro modo unico e originale di servire l’uomo in ogni condizione, i suoi valori veri, le sue esigenze globali e profonde. Sono allora indispensabili politiche familiari più adeguate, più concrete e sostanziali, in grado di rispondere ai bisogni effettivi di una famiglia oggi, che trova nel lavoro la sua principale risorsa, premessa indispensabile per la realizzazione di tutte le sue finalità, a favore delle persone che la compongono e della società stessa. Non si tratta semplicemente di assicurare qualche piccolo aiuto “esterno” alla famiglia, di offrire qualche sussidio per i più precari; si tratta piuttosto di saper guidare i cambiamenti a misura di famiglia, a partire dal fatto innegabile che il futuro della società si costruisce sulla famiglia. Alle donne che lavorano, non basta affermare il diritto alle pari opportunità, occorre realizzare le condizioni concrete per consentire alle madri di coniugare lavoro e famiglia: non discriminando le lavoratrici che chiedono il part time, attrezzando un numero adeguato di asili nido e scuole dell’infanzia… solo se una società sostiene la famiglia, salvaguardandone e promuovendone i valori, sostiene se stessa. Proprio in questi termini si esprimeva Giovanni Paolo II nell’enciclica Centesimus annus (01.05.91): «È urgente promuovere non solo politiche per la famiglia, ma anche politiche sociali che abbiano come principale obiettivo la famiglia stessa, aiutandola, mediante la assegnazione di adeguate risorse e di efficienti strumenti di sostegno, sia nell’educazione dei figli sia nella cura degli anziani, evitando il loro allontanamento dal nucleo familiare e rinsaldando i rapporti tra le generazioni» (n. 49). Come si vede, il corretto rapporto tra famiglia e lavoro suppone il riconoscimento che il ruolo delle istituzioni è quello di servire la famiglia, e non viceversa. Le istituzioni sono chiamate a incoraggiare e sostenere forme di lavoro che siano compatibili con le esigenze non solo personali e sociali, ma anche specificamente familiari.

 

di don Salvatore Rinaldi

Articolo di lunedì 24 Settembre 2018

Rubrica "Fede e Società"

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