San Paolo VI, il papa che anticipava nel suo "già" il "non ancora"

«"Temo che non diventerò mai santo”, annotò Giovanni Battista Montini, esaminandosi severamente, in un appunto autografo e senza data, ma scritto probabilmente in occasione della solennità di tutti i Santi del 1948, quando il futuro Pontefice era impegnato nel servizio alla Santa Sede come sostituto della Segreteria di Stato» (Eliana Versace, Avvenire, 4 agosto 2018)

Invece ieri finalmente Papa Francesco ha proclamato santo Paolo VI, al secolo Giovanni Battista Montini. «Sono molti i “primati”, forse poco noti, del pontificato di Paolo VI, con iniziative che anticipano e prefigurano quelle compiute dai suoi successori: il primo Papa a recarsi in pellegrinaggio nella Terra di Gesù; il primo a parlare dal podio delle Nazioni Unite e dal Consiglio ecumenico delle Chiese; il primo a lasciare il Vaticano per visitare i poveri del mondo. Fu il Papa di gesti singolari e innovativi, come la rinuncia alla tiara per sensibilizzare Chiesa e mondo nei confronti dei Paesi poveri; la ritrattazione delle millenarie scomuniche tra la Chiesa cattolica e quella ortodossa, siglata dagli storici abbracci con il patriarca Atenagora; le celebrazioni della notte di Natale tra gli operai dell’Italsider di Taranto e gli alluvionati di Firenze» (Ettore Malnati, I gesti profetici di Paolo VI, Àncora, Milano 2013, pp. 5-6) Ma, come afferma Dionigi Tettamanzi, (“Postfazione. Il «profetismo» di un’enciclica”, in Ettore Malnati, I gesti profetici di Paolo VI, cit., pp. 161-163), tra i “gesti particolarmente significativi” di Paolo VI rientra senz’altro, per la portata singolare che ha avuto e continuerà ad avere nella missione evangelizzatrice della Chiesa, l’enciclica Humanae vitae: un’enciclica tutta vibrante di un autentico profetismo evangelico. [...] Memorabile, al riguardo, è l’omelia nel quindicesimo anniversario della sua incoronazione (30 giugno 1978): il Papa proclama al mondo, quasi come un testamento (la morte lo raggiungerà dopo poche settimane), il suo amore letteralmente infuocato alla Chiesa, che ha inteso servire con la generosa difesa di due fondamentali valori: la fede cristiana e la vita umana. Ecco le sue parole: «In questo impegno offerto e sofferto di magistero a servizio e a difesa della verità, Noi consideriamo imprescindibile la difesa della vita umana. Il Concilio Vaticano II ha ricordato con parole gravissime che “Dio, padrone della vita, ha affidato agli uomini l’altissima missione di proteggere la vita” (Gaudium et spes, n. 51). E Noi, che riteniamo nostra precisa consegna l’assoluta fedeltà agli insegnamenti del Concilio medesimo, abbiamo fatto programma del nostro pontificato la difesa della vita, in tutte le forme in cui essa può essere minacciata, turbata o addirittura soppressa». E nel ricordare poi i punti più determinanti che testimoniano questo suo intento, il Papa segnala in particolare le encicliche Populorum progressio e Humanae vitae. [...] Certo, in quanto parte del “patrimonio permanente” della Chiesa (cfr. Giovanni Paolo II, 14 marzo 1988, ventesimo anniversario dell’Humanae Vitae), questa enciclica rimanda al passato: non solo però, bensì entra nel presente, anzi si apre allo stesso futuro della Chiesa. E particolarmente in quest’ultimo senso l’enciclica, sia nel suo contenuto dottrinale sia nel gesto concreto e operativo della sua pubblicazione (attesa con impazienza in mezzo a vivaci discussioni e forti contrasti), costituisce un intervento propriamente profetico. Non posso in alcun modo non condividere le dichiarazioni di Tettamanzi e di Giovanni Paolo II sull’Humanae Vitae, in quanto ho avuto occasione di constatarle con la mia vita. Quando infatti l’enciclica fu promulgata, io mi trovavo in Vaticano, perché in quegli anni a cavallo tra il ’60 e il ’70 ero seminarista nel “San Pio X” di Roma e ministrante a servizio di Paolo VI. Come ricordo nel volumetto uscito in questi giorni Il chierichetto di Paolo VI. Quattro anni al servizio del papa (Il pozzo di Giacobbe, Trapani ottobre 2018), in quel periodo sentivo parlare molto male dell’Humanae vitae dagli organi di stampa. Fu infatti un’enciclica sin da subito molto contrastata. Io non appena mi fu possibile subito incominciai a leggerla e la cosa che mi stupì sul momento fu questa: la Chiesa che dava dei consigli sull’amore umano. Mi stupiva anche che nel presentare l’enciclica le prefazioni mostravano il contributo richiesto – nell’affrontare il tema dell’amore umano – alle scienze umane. Si riferivano alla Pontificia commissione per il controllo della popolazione e delle nascite, che istituì Giovanni XXIII nel ’63, ma che Paolo VI aveva ampliato chiamandone a far parte teologi, vescovi, cardinali, donne, ma soprattutto medici. Per cui mi appariva chiaro già dai saggi introduttivi che non si trattava di un discorso solo teologico. Dai miei anni trascorsi in Vaticano al fianco del Papa, di San Paolo VI, sentivo, avvertivo, percepivo sulle spalle di questo uomo tanto amore per la Chiesa di Cristo. Ecco cosa mi seduceva di questo uomo: questo amore particolare verso l’umanità. Qualcuno vedendo il Papa, pensava che fosse un uomo chiuso, burbero. No. Egli amava l’umanità, amava l’uomo. Ma sembrava tale, un uomo burbero, perché portava sulle proprie spalle il peso dell’umanità.

 

di Don Salvatore Rinaldi

Rubrica Fede e Società

 Articolo di lunedì 15 Ottobre 2018

 

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