"Io amo significa: voglio che tu sia"

L’essere umano è la creatura interpellata. Questa è la sua dignità di essere creato. L’uomo non è creato per svolgere un’attività culturale da schiavo, come nella mitologia babilonese. Non è neppure stato creato allo scopo di essere interpellato da Dio. L’uomo è creato come l’Interpellato: egli è per Dio fine in se stesso e, in lui, questo vale per tutta la creazione.

 

 

L’uomo proviene dalla parola di Dio come colui che è da quest’ultima pronunciato e interpellato; egli è la parola che Dio ha pronunciato nella sua libera disponibilità di se stesso («facciamo…»), senza base d’appoggio (…ex nihilo), come la realtà propria corrispondente a lui («… a immagine di Dio»). La parola pronunciata ha lasciato irrevocabilmente la bocca. Non è sfuggita a Dio per disattenzione, ma è piuttosto espressione della sua volontà. L’autonomia della realtà creata corrisponde alla volontà creatrice divina. L’assolutismo dell’amore non usurpa, ma libera. Vuole che l’altro viva. Dio vuole che un altro da sé, diversamente da sé, viva: egli lo esprime come sua parola, lo riconosce come se stesso («a sua immagine»). Nella sua condizione di creatura, nella sua dipendenza materiale, nella sua capacità realmente limitata e nella sua esistenza terrena limitata nel tempo, l’essere umano è assoluto nel riconoscimento da parte di Dio. Essendo egli immagine di Dio, Dio stesso non può disporre dell’uomo. L’amore rischia tutto, soprattutto se stesso e, in questo, la persona che ama. L’amore spera in un sì, lo desidera, si mette a fare il gioco della disponibilità per ottenere una risposta positiva; è disperato quando quella risposta non giunge - e in tutto questo non ha bisogno del sì per essere ciò che è, ossia amore. Al riguardo, l’amore è tutt’altro che modesto: chi ama non è in sé, si è aperto senza ritegno, si è donato, ma non è neppure presso la persona amata in modo tale che tutto si chiuderebbe in una diade sazia e troverebbe pace; nello stesso amore, tutto è piuttosto basato sull’equilibrio precario della donazione. Amare significa pretendere in modo ab-soluto (sciolto da tutto) l’altra persona e, per amore, in questa pretesa riconoscerla nella sua indisponibilità ugualmente assoluta. L’amore libera, riconosce, realizza, vuole la libertà - la libertà dell’altra persona amata e quest’ultima come altra libertà. Dio, che ha creato il mondo per amore - ex nihilo, ossia voluto da nient’altro che dalla sua libera autodecisione – non ha costruito con la creazione alcuna casa di sicurezza, magari con la chiesa come sua safe room. Ha piuttosto posto come principio il rischio dell’amore in essa o come mondo, insieme con la libertà che è Dio stesso. Il rischio dell’amore di Dio ritorna a se stesso nell’uomo, la cui libertà indisponibile è determinante anche per la relazione fra Dio e l’uomo, la sua immagine (Gen 1,26-28). Una delle situazioni di emergenza dell’umanità odierna è l’ateismo pratico, sotto il cui influsso non si riesce più a vedere alcun senso trascendentale della vita, e di conseguenza si rimane sulla superficie di un orientamento consumistico, o si ritrova una vaga perdita di prospettive, come viene sottolineato in Gaudium et spes. Se […] manca la base religiosa e la speranza della vita eterna, la dignità umana viene lesa in maniera assai grave […] e gli enigmi della vita e della morte, della colpa e del dolore rimangono senza soluzione, tanto che non di rado gli uomini sprofondano nella disperazione. E intanto ciascun uomo rimane ai suoi propri occhi un problema insoluto, confusamente percepito […]. A questi problemi soltanto Dio dà una risposta piena e certa (GS 21). Per Francesco il compito dell’evangelizzazione consiste meno in una propaganda delle convinzioni cristiane (propaganda fidei) che in un processo di profonda metànoia sia del singolo cristiano sia delle strutture ecclesiali. Mentre i missionari del passato - nel migliore dei casi - nei loro compiti erano animati dall’idea della “salvezza delle anime”, con Francesco la motivazione su cui si fa conto è la personale esperienza della forza liberante del vangelo. Attraverso questa esperienza il cristiano – non solamente i missionari, preti o religiosi/e, ma ogni cristiana e ogni cristiano – è indotto alla missione (cf. 2 Cor 5,14 o 1 Cor 9,16):«Se qualcuno ha accolto questo amore gli ridona il senso della vita, come può contenere il desiderio di comunicarlo agli altri?» (EG 8) (Esortazione Apostolica sull’annuncio del vangelo nel mondo contemporaneo). Non ne va di alcuna manipolazione ideologica, bensì di un desiderio, scaturito dall’amore, di condividere con altri uomini e donne l’esperienza concreta di salvezza fatta personalmente con Cristo. Si deve però allo stesso tempo avvertire altresì il bisogno degli altri – il che è possibile solo se si prova compassione (cf. Mt 9,36). Per questo motivo in Evangelii gaudium si pone l’attenzione sul dolore umano: la comunità evangelizzatrice deve «toccare la carne sofferente di Cristo» e avvertire «l’odore delle pecore» (cf. EG 24).

 

di don Salvatore Rinaldi

Articolo di lunedì 12 novembre 2018

Rubrica "Fede e Società"

 

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