«Io accolgo te»: con queste parole inizia la prima formula del consenso nella liturgia del matrimonio. Accogliere significa intuire la grandezza e la bellezza straordinaria dell’altro, significa fare esperienza dello stesso sguardo di Dio che non si ferma alla «superficie», ma sa vedere le nostre grandi potenzialità. A volte ci illudiamo di avere davanti una persona che è «uguale a me», come uno specchio.
Sarebbe meglio partire dal presupposto che ho davanti uno straniero, una straniera: viene da un altro mondo (ad esempio: quanto spesso sottovalutiamo tutte le risonanze della diversa sessualità?), ha una storia diversa e parla una lingua di valori e atteggiamenti tutti da imparare. A volte l’altro, con le sue zone d’ombra, può apparire un «mostro», oppure un «mendicante»: accogliere significa anche imparare a entrare nella sfera interiore dell’altro con delicatezza e saggezza, perché le ferite interiori hanno risonanze a volte non facilmente controllabili e di cui inizialmente non si percepisce l’origine. Accogliere significa spesso mettersi nell’ottica di un continuo apprendimento, cercando di non dare nulla per scontato e già deciso. «Io accolgo te» significa poi che non rifiuto niente di te e che voglio far entrare nella mia vita «tutto di te». Accolgo l’altro nel corpo (fisicità, atteggiamenti, modo di agire e parlare…), nella mente (carattere, valori, idee, modi di affrontare le situazioni…) e nello spirito (unicità profonda, spiritualità, risonanze della coscienza…). Non tutti i giovani hanno ben chiara la propria identità, i propri sentimenti, cosa desiderano nella vita, quello che cercano nella vita matrimoniale. Spesso sono domande alle quali è complicato rispondere. Questa mancanza di identità crea seri problemi, perché è difficile mettersi in relazione con l’altro senza aver trovato prima se stessi. Essere innamorati è un’esperienza che tutti i fidanzati provano ed è per loro di facile e immediata comprensione. Più difficile è capire veramente cos’è l’amore coniugale e, più difficile ancora, è costruirlo. La cultura attuale fa infatti vedere l’amore esclusivamente in funzione del proprio appagamento. Assai raramente vengono messe in evidenza le componenti essenziali del vero amore, quali il dono di se stessi, la condivisione, il venirsi incontro ecc. La capacità di mettere in comune tutti gli aspetti della vita, la profondità di compartecipazione all’essere dell’altro determinano il grado di coesione di una coppia. Ci sono coppie che vivono una profonda coesione e coppie che, pur frequentandosi assiduamente, o vivendo sotto lo stesso tetto, sembrano continuare a vivere ciascuno la propria vita. Oggi lo sforzo di coesione non è molto incoraggiato: in un clima culturale caratterizzato da un forte individualismo, pare che sia una virtù il mantenimento incondizionato delle idee, delle amicizie, degli impegni, degli hobby, al punto che ci si riduce in concreto a portare avanti due vite parallele con sempre meno punti di coesione. L’amore tra due persone non può mai essere dato per scontato: per esistere ha bisogno di essere alimentato giorno per giorno, con serietà, con impegno, con gioia. La relazione, permette di comunicare, dialogare e decidere meglio e mettere in chiaro che non ci deve essere un «io dominante», ma sempre un «noi» che dà spazio ora alle esigenze di uno, ora dell’altro, per il bene di tutti e due. Questo è legato all’altro fondamento di cui essere consapevoli: occorre camminare da subito nella parità, senza squilibri di potere tra i due o sensi di inferiorità che minerebbero la salute del rapporto. «Io accolgo te» non significa accogliere qualcuno con un atteggiamento di superiorità: significa guardarsi, occhi negli occhi, con la stessa dignità divina di figli, nella prospettiva di essere una carne sola.
di don Salvatore Rinaldi
Articolo di lunedì 1 Aprile 2019
Rubrica "Fede e Società"
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