Prossimo: negoziazione e comunicazione

Sono molte le ragioni e i motivi per i quali la gente si sposta nelle città. Per alcuni la città è un luogo di ricchezza, di comodità e di alta qualità della vita; per altri offre servizi e opportunità per lo sviluppo delle abilità e dei talenti di ciascuno.

Non c’è da meravigliarsi che Aristotele definisse la città un luogo indispensabile per la “buona esistenza”, intendendo un luogo in cui condurre una vita felice e coltivare “virtù” o talenti. Infatti, diversamente dalle zone rurali, le città in cui la vicinanza umana è alta i talenti si concentrano, creano l’ambiente per l’ottimizzazione delle capacità umane e per l’innovazione, creano opportunità per praticare la giustizia e servire il bene comune. Inoltre la città è un luogo di libertà che offre l’atmosfera per coltivare l’io individuale, libero da pressioni sociali, da tradizioni e convenzioni opprimenti. Oltre i tali ideali, in molti paesi in via di sviluppo - e sempre più anche nei paesi sviluppati – la città è rifugio per molte vittime del nostro mondo attuale: gli impoveriti, i senza terra, gli abbandonati, i profughi, i rifugiati, i richiedenti asilo, le vittime di disastri ecologici, la popolazione che si sposta dalla campagna in cerca di lavoro e così via. La città è una qualche speranza di sopravvivenza tra le tante privazioni che i poveri sopportano. La città non è semplicemente un luogo, ma un ambiente, è l’ambiente di una comunità in cui popoli e gruppi possono svilupparsi mettendosi in relazione gli uni con gli altri e vivendo in solidarietà. Amare il prossimo è relativamente facile finché il prossimo ha il nostro stesso colore, è della nostra stessa etnia, della stessa religione, cultura e linguaggio. Diventa una cosa molto impegnativa quando non condividiamo nulla di tutto ciò, eppure siamo ugualmente chiamati ad amare e a creare relazioni. Essere prossimo non è solo una questione di vicinanza fisica, ma anche di negoziazione e di comunicazione. L’estraneità del prossimo crea la xenofobia. Come passare da una situazione di xenofobia alla xenofilia - cioè all’amore per l’estraneo? Come trasformare il sospetto crescente che blocca la comunicazione umana vitale, creando un maggiore senso di fiducia e di solidarietà tra gli abitanti delle città? La fede e la teologia possono aiutare a realizzare questa transizione? Per Paolo la città è luogo di comunità, di mutualità, di relazione, completamente diversa dall’immagine di città di oggi come concentrato di commercianti e di consumatori. Egli esorta i cittadini di Colosse a «rivestirsi di magnanimità» (Col 3,12 Lettera di San Paolo Apostolo ai Colossesi), che dovrebbe caratterizzare i rapporti nella loro comunità e nella società in generale. La città come comunità è una creazione di tutti. La città insostenibile è quella in cui non c’è partecipazione della comunità. Rifiutare di accettare la partecipazione dei poveri, dei migranti e dei rifugiati non farà altro che aumentare la loro vulnerabilità. Nelle grandi città, soprattutto nei paesi in via di sviluppo, osserviamo come i ricchi si isolino nei cosiddetti “quartieri residenziali” erigendo muri e barriere e vietando l’accesso ai poveri. I ricchi si assicurano anche la terra e le zone verdi migliori, privatizzando gli spazi pubblici. Se la chiesa vuole essere capace di testimonianza in queste situazioni, uno dei modi migliori è mettere a disposizione le proprie strutture, gli immobili, le infrastrutture e i servizi per gli obiettivi comuni dei cittadini, soprattutto dei più vulnerabili. Questo significa essere una chiesa senza muri. In questo modo la chiesa entrerà in comunicazione autentica con la comunità locale e le persone cominceranno a sentire che la chiesa è lì per loro. Questi sono i modi per creare solidarietà e comunità. Tutto questo aiuterà anche a placare le paure e il sospetto da parte dei “laici” e dei popoli di altre tradizioni religiose sulle motivazioni del coinvolgimento della chiesa nella città.

 

di don Salvatore Rinaldi

Articolo di lunedì 13 Maggio 2019

Rubrica "Fede e Società"

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