Un processo di crescita

C’è un empowerment di tutti, che è fondato nel battesimo e chiama tutti, uomini e donne, giovani e vecchi, alla responsabilità di dare il proprio contributo all’edificazione del popolo di Dio. (Il termine inglese empowerment indica un processo di crescita, sia dell’individuo sia del gruppo, basato sull’incremento della stima di sé, dell’autoefficacia e dell’autodeterminazione, per far emergere risorse latenti e portare l’individuo ad appropriarsi consapevolmente del suo potenziale).

Rientrano in tale contributo l’impronta vivente della fede, i processi educativi e una formazione in materia di spiritualità e religiosità. È importante che la liturgia della chiesa e le sue funzioni rimangano “attrattive”, ma la tradizionale “chiesa dei riti” deve aprirsi in modo che possano emergere nuove forme di partecipazione e di corresponsabilità, nuovi modi di stare insieme tra sacerdoti e laici, tra uomini e donne. Quindi è di primaria importanza di formare comunità di fede viventi, il riconoscimento delle capacità di tutti, in particolare anche delle donne, di una nuova riflessione sull’autorità e le strutture ministeriali della chiesa. La chiesa non sta “di fronte” al mondo, quasi contrapposta ad esso, ma modella la sua identità percorrendo le molte vie degli uomini, il che trova espressione anche nella sua pratica liturgica, nelle sue azioni rituali e nelle sue strutture ministeriali. Precisamente in questo contribuisce alla formazione della cittadinanza e anche questo è missione pastorale. La città di Dio e la città dell’uomo non stanno una accanto all’altra o una contro l’altra, ma Dio prende dimora - in Gesù Cristo - nella città dell’uomo, le dà una tale dinamicità da rompere le sue ristrettezze e auto-chiusure sociali, culturali e anche ecclesiastiche, aprendola alla sempre più grande “città di Dio” e conducendola a una nuova configurazione di cittadinanza, al cui centro stanno l’amicizia con Dio e l’amicizia tra gli uomini. Vale allora l’affermazione che «non c’è Giudeo né Greco; non c’è schiavo né libero; non c’è maschio e femmina, perché tutti voi siete uno in Cristo Gesù» (Gal 3,28 Lettera di San Paolo ai Galati). Così i cristiani diventano “lievito” di questo unico mondo, anziché viversi come cittadini di due mondi: la “città di Dio” cresce nella “città dell’uomo”. L’ “incarnazione” nel mondo diventa uno spogliarsi (kénosis, “svuotamento”) in cui è riscoperto il significato originale del vangelo, a cui vengono conferite nuove espressioni nelle più diverse forme della prassi che sta dalla parte dei poveri e degli emarginati, fino al martirio, alla donazione della vita. Il “divenire soggetto” da parte dei credenti. È espressione della libertà cristiana che, in quanto tale, si realizza nel riconoscimento della libertà altrui e, quindi, nel servizio della liberazione e del divenire-soggetti da parte dei poveri. I “poveri” qui intesi sono tutti gli emarginati ai quali vengono tolti diritti e, con ciò, possibilità di vivere. Le «nuove culture» urbane, di cui papa Francesco parla in Evangelii gaudium, emergono dai processi creativi e interconnessi di questi nuovi “soggetti”, che dovranno essere capiti e riconosciuti per raggiungere con il vangelo «l’anima» delle città e di quelle «nuove culture». I cristiani formano il “popolo messianico” tra i popoli, sono attori tra molti altri nella cultura; dall’annuncio del vangelo nella città risulta il loro “profilo”. Questo non significa “missione” nel senso tradizionale, ma la concezione che “l’annuncio” del vangelo cresce nel dialogo con molti altri, è “presente” anche negli altri, proprio perché Colui che i cristiani “annunciano” è già lì. La teologia è al servizio di una chiesa che è “sacramento dei popoli”.

 

di don Salvatore Rinaldi

Articolo di lunedì 20 Maggio 2019

Rubrica "Fede e Società"

 

 

 

 

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