«Non credo che siamo stati creati per volontà di un qualche dio; tanto meno fatti “a sua immagine e somiglianza”. Non credo che ci sia un’altra vita dopo la morte, sono convinto che con l’ultimo respiro ciò che era polvere torni ad essere polvere, torni cioè nel grande flusso dell’Essere» (Corrado Augias, scrittore e giornalista, è autore di numerosi libri e di programmi televisivi).
«Credo che oltre alla polvere noi consistiamo di un’altra dimensione, l’anima spirituale. Per questo sostegno che la verità definitiva della nostra personalità è l’Essere eterno e personale, quel Dio interpretato dalle diverse religioni in vario modo, e dal cristianesimo come amore» (Vito Mancuso, insegna teologia presso la facoltà di Filosofia dell’università Vita-Salute San Raffaele di Milano). La visione del compimento dell’esistenza umana e della vicenda storica occupa un posto singolare e se, lungo i secoli, il desiderio di avere risposte soddisfacenti agli interrogativi circa tale compimento aveva portato a costruire una ‘fisica dei fini ultimi’ e una ‘geografia dell’aldilà’, nei tempi recenti si è preso coscienza del fatto che la meta della storia rimane avvolta nel mistero di Dio. Ciò non significa, tuttavia, che il futuro degli esseri umani e del mondo sia del tutto sconosciuto, e quindi di fronte a esso non resti più nulla da dire. Piuttosto una rinnovata ermeneutica dei testi biblici e patristici ha permesso di riscoprire il centro del messaggio escatologico del cristianesimo: Gesù Cristo risorto, paradigma della persona umana nella sua vittoria sulla morte e, nello stesso tempo, principio della palingenesi del cosmo. La morte è un evento che interpella tutti personalmente, fa vacillare le fragili sicurezze umane, apre a un orizzonte ultraterreno, da dove solo può venire una luce. «Da dove veniamo e verso dove andiamo? C’è un fondamento solido all’inarrestabile fluire del tempo o si è totalmente in balìa del cieco destino?». Come tutti sperimentano la sofferenza per il lutto, la precarietà del vivere, la memoria dei propri defunti, così tutti anelano a trovare la speranza che non delude (cf. Rm 5,1-5). La speranza cristiana non è solo l’auspicio che i desideri di vittoria sul male e sulla morte si avverino, ma è constatare che tale profonda aspirazione ha il marchio di garanzia. La risurrezione di Gesù è la culla della speranza, la quale è l’attesa di qualcosa che è già stato compiuto e che si realizzerà per ciascuno. La creazione e la storia ormai sono attraversate dalla Pasqua, cioè da un sussulto di risurrezione, da una porta aperta sull’infinito che tutti possono varcare. Nell’attuale contesto, segnato dal pensiero debole e triste, cioè dal relativismo e dalla cultura di morte, vi è bisogno di un Incontro. L’incontro futuro con Dio viene preparato nell’oggi, nel dono generoso di sé a Dio e ai fratelli, nella purificazione delle intenzioni e delle opere, nell’impegno per costruire la civiltà dell’amore. Il Risorto, infatti, è il vincitore non solo della morte fisica, ma di tutti i condizionamenti che appesantiscono il cammino della santità, che porta a godere del volto di Dio. L’inferno e il paradiso non sono «luoghi», ma «stati» di vita e i corpi risorti riacquistano la loro originaria proprietà di vita eterna e, perdendo i caratteri di spazio-tempo, ritroveranno la piena comunione con Dio senza necessità di occupare luoghi o zone materiali (cf. 1 Cor 15,42-44). “Per grazia”, la persona raggiunge la sua interezza, pienezza e armoniosità, ben al di là delle strutture biologiche del suo «corpo di carne». Dio è come un Padre che, da una parte, «piange lacrime di infinita pietà» verso i suoi figli, ma, dall’altra, ha mani da «artista», continuamente creativo e capace di sorprendere. La morte, nostra acerrima nemica, è «un buco nero» che si apre nella vita delle famiglie e non trova spiegazione. Tuttavia «il lavoro dell’amore è più forte del lavoro della morte». Ognuno pensi al proprio «tramonto», a come sarà quando si troverà davanti al Signore. Il rischio è che la veglia funebre si trasformi in un fatto sociale, senza interpellare la coscienza di ognuno. La rassegnazione «non è una virtù cristiana», perché Gesù non è relegato nel passato, ma vive nel presente ed è proiettato nel futuro, è «l’oggi» eterno di Dio e la storia non è un treno di cui si è perso il controllo. La speranza cristiana è un po’ come il lievito, che fa allargare l’anima, e come un’ancora gettata nella riva del Cielo, alla cui corda i pellegrini possono aggrapparsi. Nel momento del dolore, per chi crede, la speranza è come una porta che si spalanca completamente; per chi dubita è uno spiraglio di luce che filtra da un uscio mai completamente chiuso. Non serve, dunque, andare in cerca di tanti sepolcri che oggi promettono tanto, ma che poi non danno niente. Il giudizio di Dio comincia già ora: chi pratica la misericordia non deve temere la morte. Certo, per l’ultimo viaggio non serve il denaro, perché «il sudario non ha tasche». Serve soltanto andare avanti con gioia per la strada, già percorsa dai santi, verso il paradiso, che non è «un luogo da favola e nemmeno un giardino incantato, ma l’abbraccio con Dio». Infatti, i battezzati e tutti i beati del paradiso formano una sola grande famiglia. L’ importante è chiedersi se siamo persone di luce o di tenebre. Papa Francesco, offre un’immagine bella di Dio, sempre interessato a ciascuno dei suoi figli e pronto ad abbracciarlo, comunque «arrivi a casa». È un Dio amante della vita (cf. Sap 11,26) che gode nell’accogliere quanti ama e nell’assegnare loro un posto accanto a sé, dove non c’è più né pianto né lutto né lamento (cf. Ap 21,4). Il papa parte sempre dalla parola di Dio per arrivare a fare luce sul vissuto quotidiano. Nulla infatti è estraneo a Dio di quanto è autenticamente umano compresa l’esperienza faticosa del distacco dai propri cari. L’insegnamento di papa Francesco costituisce un argine alla deriva materialista, che tende a ridurre la persona umana a un pugno di cenere da disperdere, cancellandone ogni traccia e scoraggiando ogni riferimento alla preghiera. È la cultura dello «scarto» e dell’oblio, portata alle estreme conseguenze. Anche se siamo peccatori - tutti noi lo siamo -, se i nostri propositi di bene sono rimasti sulla carta, oppure se, guardando la nostra vita, ci accorgiamo di aver sommato tanti insuccessi… nel mattino di Pasqua possiamo fare come quelle persone di cui ci parla il Vangelo: andare al sepolcro di Cristo, vedere la grande pietra rovesciata e pensare che Dio sta realizzando per me, per tutti noi, un futuro inaspettato. E se ci diranno il perché del nostro sorriso donato e della nostra paziente condivisione, allora potremo rispondere che Gesù è ancora qui, che continua a essere vivo fra noi, che Gesù è qui con noi: vivo e risorto (Udienza Generale, Piazza S. Pietro 19.04.17).
di don Salvatore Rinaldi
Articolo di lunedì 10 Giugno 2019
Rubrica "Fede e Società"
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