Che ha fatto?

Il primo principio è il rispetto della vita per se stessa: l’intangibilità del valore della vita, il rispetto per la sua dignità. Tutta la vita ha una sua dignità: va quindi promossa, custodita e difesa. Ne consegue l’assolutezza del valore della vita: la vita è un valore assoluto che non ammette visioni diverse, ma esige convergenze.

 

 

La Rivelazione (Biblica) mostra sempre più nitidamente l’uomo, che, pur segnato dalla limitatezza e dalla precarietà del quotidiano, tuttavia sente emergere prepotentemente dal suo cuore un desiderio profondo di eternità, di una vita piena, non più minata dalla caducità e dal transitorio. Questo germe di totalità e di pienezza attende di manifestarsi nell’amore e di compiersi, per dono gratuito di Dio, nella partecipazione alla sua vita eterna (Giovanni Paolo II, EV, n. 31). Gli stessi gesti di “restituzione dalla vita” operati da Gesù, diventano i segni posti dai suoi discepoli, nel suo nome; è importante sottolineare come questi gesti di salvezza siano rivolti non solo a chi sperimenta la malattia o la sofferenza fisiche, ma soprattutto a chi si riconosce bisognoso di guarigione per la propria ferita interiore, per la malattia del proprio peccato (Lc 5, 31-32). L’essere creato “ad immagine e somiglianza di Dio” espressione biblica, che tanto ha impegnato la riflessione dei Padri e dei teologi lungo la storia del pensiero cristiano, indica nell’uomo la presenza di un riflesso della stessa realtà di Dio. “La vita che Dio offre all’uomo è un dono con cui Dio partecipa qualcosa di sé alla sua creatura” (Giovanni Paolo II, EV, n. 34) dotandolo così di una dignità altissima e superiore ad ogni altra creatura; questa qualità umana peculiare è stata indicata dalla filosofia cristiana col termine di persona, concetto che esprime, per altro, un’ulteriore caratteristica dell’essere umano; quella dell’assoluta unicità ed irripetibilità dell’individuo, nel proprio essere ed agire, nell’intelletto e nella volontà, nella coscienza e nel cuore (Giovanni Paolo II, RH, n. 14). L’uomo è segno della presenza di Dio, “orma della sua gloria”, e la sua stessa esistenza è motivo di gioia per il Creatore, secondo la nota espressione di S. Ireneo di Lione: “Gloria Dei vivens homo”. Da tale concezione, nascono importanti conseguenze per la vita umana, già nella sua fase terrena. È nel tempo, infatti, che l’uomo può coltivare le radici della vita eterna, quando scopre, con stupore gioioso, che le sue azioni terrene non si riducono a rappresentare solo un momento di espressione della propria persona, ma diventano il “luogo” reale, anzi l’unico possibile, dell’incontro e della comunione con Dio. Ciò che viviamo nel tempo, dunque, è rivestito di valore immenso e di una dignità altissima, poiché fonda e costruisce la nostra vita eterna. Se la vita umana è un bene sacro, come tale essa esige di essere sempre custodita, difesa e promossa, perché non sia violato, a causa dell’uomo, il “segno vivente” della presenza del Creatore, che resta l’unico e solo signore della vita e della morte. Certamente, la signoria di Dio sulla nostra esistenza non è da intendersi come un “arbitrio minaccioso, bensì come cura e sollecitudine amorosa nei riguardi delle sue creature”, alla maniera di una padre e di una madre nei confronti del loro bambino. La coerenza nel riconoscere e promuovere questo valore, soprattutto nelle situazioni di vita più debole ed indifesa, magnifica la dignità dell’uomo e rende gloria al “Dio dei viventi” la cui volontà è creatrice di vita. Perciò, chi sceglie di operare in questa direzione, con responsabilità e generosità, si comporta da “custode solerte e fedele”, che assolve il suo compito con franchezza e lealtà nei confronti di Dio, suo mandante: egli è meritevole di lode e non perderà la giusta ricompensa, al termine del suo mandato! La sacralità della vita umana, intesa nel senso prima descritto, ne esige anche l’inviolabilità. Del resto, questa esigenza basilare è facilmente rintracciabile nella coscienza di ogni persona, come dato originario; in condizioni di normalità psico-intellettiva, tutti percepiamo una istintiva repulsione per tutto ciò che viola la vita umana, anche se non sempre riusciamo ad enuclearne le ragioni. Questa esperienza ha un’eco nella Bibbia, laddove Dio si rivolge a Caino, dopo l’uccisione del fratello Abele, domandandogli: “Che hai fatto?” (Gen 4,10): siamo in presenza di una forma arcaica di coscienza morale (la voce di Dio giunge a Caino dall’esterno), che però chiede conto all’uomo dell’inviolabilità della vita, in quanto “proprietà e dono di Dio Creatore e Padre”. Dopo il diluvio, Dio stesso dirà a Noè: “Chiederò conto della vita dell’uomo all’uomo, a ognuno di suo fratello” (Gen. 9,5). Per questo, ogni offesa diretta alla vita umana rappresenta un’offesa diretta a Dio Creatore, al quale ogni uomo dovrà rendere conto delle proprie scelte. L’unico atteggiamento adeguato alla preziosità della vita umana, sacra e inviolabile, per la sua dignità peculiare, è quello dell’amore, inteso come la ricerca impegnata e costante del bene integrale della persona amata, a cominciare dal bene della vita fisica. “Rientra nel piano stesso di Dio e della sua provvidenza che l’uomo lotti con tutte le sue forze contro la malattia in tutte le sue forme e si adoperi in ogni modo per conservarsi in salute: la salute infatti, questo grande bene, consente a chi la possiede di svolgere il suo compito nella società e nella Chiesa” (C.E.I. 23 Maggio 1974). “L’impegno per mantenere la salute, consolidarla e difenderla, e quindi anche l’impegno nel lottare contro la malattia, è una specie di costante, un dato naturale in tutte le culture. A livello istintivo non è che un aspetto dell’istinto di conservazione” (L. Ciccone, La vita umana, Ed. Ares Milano 2000). Dunque, la salute si presenta piuttosto come una positiva (ma mutabile) “condizione esistenziale” della persona, orientata al raggiungimento della meta ultima; tuttavia, qualora questo bene prezioso venisse a mancare, momentaneamente o permanentemente, configurando così una condizione di malattia, la persona umana non vedrebbe certo diminuito o compromesso il suo valore essenziale, né la sua capacità radicale di perseguire lo scopo ultimo della vita umana. In questo senso, è possibile affermare che la salute non appartiene alla sfera dei beni intrinseci della persona, né possiede un valore in se stessa e per se stessa; in termini tecnici, essa non costituisce un “valore morale” in senso stretto, da perseguire e difendere sempre ed in ogni circostanza. Piuttosto, essa va considerata come un’auspicabile “modalità d’essere” per l’uomo, che normalmente ne trae grande beneficio, nel suo cammino verso la vita eterna.

 

don Salvatore Rinaldi

Articolo di lunedì 1 Luglio 2019

Rubrica "Fede e Società"

 

 

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