Un dialogo e un colloquio con Dio

La storia mostra che l’uomo cerca Dio prima di tutto per la sua consistenza creaturale, fragile, di solitudine, ma anche per un appello che sgorga dal segreto del cuore per cui desidera più di quello che può (Gregorio di Nissa).

 

 

Dal cuore dell’uomo e dalla sua piccolezza si leva un grido che assume la forma della preghiera, termine che deriva dal latino precarius e indica la situazione di precarietà, di povertà e di bisogno. L’antropologia e gli studi sul sacro mostrano molte testimonianze della ricerca di Dio da parte dell’uomo; si manifesta in tentativi di dialogo, di invocazione, di richieste di aiuto, di offerte per ottenere benevolenza e risposte a qualche bisogno o domanda. Quindi la preghiera è «elevazione della mente a Dio» (Giovanni Damasceno, De fide orthodoxa, 1. III, c. 24, in PG 94). È vero anche che la storia delle religioni presenta forme e modi di cercare Dio e di trarlo dalla propria parte, ma questo fa parte della costruzione mentale dell’uomo, che cerca un essere superiore (per vari motivi). Dobbiamo molto di questa prospettiva alla filosofia platonica che ha lasciato tracce consistenti sulla relazione con Dio, soprattutto nei termini dell’idealità e non della concretezza esperienziale. Ma c’è un ambito dove la parola della preghiera dell’uomo fa riferimento alla concretezza della vita, quello dello stupore di fronte alla natura, della meraviglia di fronte alla vita, alla bellezza, alla realtà che ci supera. È l’attrazione del mistero affascinante che fa dilatare i cuori di fronte a un rosso tramonto, alla bellezza di un bambino che nasce. Sono tutte esperienze che rinviano ad altro o manifestano la luce di una presenza (trasfigurazione). La preghiera allora è parola di lode e di ringraziamento, è eucarestia. Anche la relazione tra maschile e femminile è invito alla preghiera, segno di essa, perché fa uscire da se stessi e pone a contatto con l’altro e la sua differenza che ampia l’orizzonte, scombina gli ordini, prova l’identità (il maschile rivela il femminile per il dono della differenza), apre prospettive di fecondità e di comunione. Così anche con Dio. Facciamo l’uomo a nostra immagine, secondo la nostra somiglianza […]. Dio creò l’uomo a sua immagine; a immagine di Dio lo creò: maschio e femmina li creò (Gen 1,26-27). La prospettiva relazionale è all’origine del desiderio di incontro, del bisogno di superare la solitudine nella comunione d’amore che l’uomo porta in sé, e apre alla preghiera. L’uomo ha la necessità di comunicare a ogni livello (fisico – corpo; affettivo/psicologico – anima; spirituale – spirito) per cui si rivolge al creatore, a colui che lo ha fatto, formato, a colui di cui porta l’immagine e la somiglianza e questo è importante in ordine all’identità reale che matura nel confronto con l’altro, non nella solitudine, ma nella reciprocità. Quindi la preghiera è anche dialogo e colloquio. Dio cerca l’uomo e attende la sua risposta: non è l’uomo che si muove per cercarlo. Impossibile trovarlo se non si fa trovare (possiamo solo disporci), anzi è lui che non cessa di bussare alla porta del cuore perché si apra e si condivida il banchetto della sua amicizia (Ap 3,20: «Io verrò da lui, cenerò con lui ed egli con me»). Dio è l’Altro che si rivolge, chiama, dona, ama, è presente sempre, ma resta sempre irriducibile alle nostre idee. “Dio si è fatto conoscere” come colui che ama l’uomo in ragione non di se stesso ma dell’uomo: come l’amore di pura e assoluta gratuità, che esce da sé senza tornare a sé; come colui che nell’uomo non cerca la propria gloria se non in quanto essa è la vita dell’uomo, non cerca un’anima in cui specchiarsi ma un corpo da sfamare, una costellazione di bisogni a cui donare, come un pane multi sapore, il mondo e le sue creature (Rizzi, Dio in cerca, 129). La storia della salvezza mostra che Dio cerca continuamente l’uomo prima di qualsiasi parola dell’uomo e tutto fa per salvare e amare l’uomo. Dio prende l’iniziativa con Abramo, con Mosè, nelle chiamate e nelle annunciazioni; chiama per nome e attende una risposta (Lc 1,38: «Eccomi») che diventa dialogo orante. La pista della simbologia nuziale vista da Dio, come ci mostra il Cantico dei Cantici ci potrebbe aiutare. In effetti non si dà relazione senza la presenza differente di un altro, incontrabile. Dio cerca l’uomo e attende la sua risposta: non è l’uomo che si muove per cercarlo. Impossibile trovarlo se non si fa trovare (possiamo solo disporci), anzi è lui che non cessa di bussare alla porta del cuore perché si apra e si condivida il banchetto della sua amicizia (Ap 3,20: «Io verrò da lui, cenerò con lui ed egli con me»). Dio è l’Altro che si rivolge, chiama, dona, ama, è presente sempre, ma resta sempre irriducibile alle nostre idee (J. Lafrance, Prega il Padre tuo nel segreto, OR, Milano 1983). “Dio si è fatto conoscere come colui che ama l’uomo in ragione non di se stesso ma dell’uomo: come l’amore di pura e assoluta gratuità, che esce da sé senza tornare a sé; come colui che nell’uomo non cerca la propria gloria se non in quanto essa è la vita dell’uomo, non cerca un’anima in cui specchiarsi ma un corpo da sfamare, una costellazione di bisogni a cui donare, come un pane multi sapore, il mondo e le sue creature” (Rizzi, Dio in cerca, 129).

 

di don Salvatore Riinaldi

Articolo di lunedì 8 luglio 2019

Rubrica "Fede e Società"

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