L'interprete della fine dei tempi

Venuto infatti in Galilea ad annunciare l’avvento imminente del regno di Dio, Gesù dà inizio a un’intensa attività taumaturgica: quelli che vengono comunemente definiti i suoi miracoli. Stando infatti a Marco, fin dal principio di questa nuova fase del suo ministero, «guarì molti malati […] e scacciò molti demoni» (1,34). In Galilea Gesù non si presenta soltanto come il predicatore dell’avvento imminente del regno di Dio, ma accompagna questa sua predicazione con un’attività di guaritore e di esorcista.

 

 

Nel mondo antico la possibilità del miracolo era infatti fuori discussione. E il miracolo era un’esperienza del tutto comune, non soltanto nell’ambiente giudaico, ma anche in quello pagano. Per la mentalità antica, e in particolare per quella giudaica, il problema del miracolo consisteva principalmente nella provenienza dell’azione operata, e nella collocazione quindi del suo autore: dalla parte della potenza divina o da quella del potere demoniaco. E questa diversa provenienza e collocazione comportava evidentemente una diversa valutazione dell’azione operata e del suo autore: miracolo divino o azione diabolica (o eventualmente, soprattutto tra i Greci, magia); uomo di Dio o inviato del demonio (o magari mago e ciarlatano). Gesù guariva malati e scacciava demoni. Per coloro che ne beneficiavano, che sono generalmente le persone più deboli ed emarginate della società giudaica, non potevano esserci dubbi: si trattava di opere miracolose di un uomo di Dio. La gente perciò accorreva quando sentiva che arrivava Gesù ed è questa probabilmente la ragione principale di una certa popolarità che il profeta di Nazareth raggiunse in Galilea. Per gli avversari, che secondo Marco sono soprattutto gli scribi e i farisei, si trattava invece di opere demoniache: «Gli scribi che erano scesi da Gerusalemme dicevano: “Costui è posseduto da Beelzebul e scaccia i demoni per mezzo del capo dei demoni”» (Mc. 3,22; cfr. Lc. 11,15/Mt. 12,24). Non è in discussione quindi l’attività miracolosa di Gesù, che tutti riconoscono, bensì la sua provenienza, che viene ritenuta demoniaca. Per Gesù non c’è dubbio anzi, essi fanno capire, che è questo il significato più autentico dei miracoli. Oltre all’atteggiamento di generale riserva che Gesù mantiene abitualmente nei confronti delle richieste di miracolo, alle quali cede spesso solo per l’insistenza dei richiedenti. Per Gesù le guarigioni che egli compie sono l’adempimento della profezia di Isaia e dunque il segno che il regno di Dio annunciato dal profeta è finalmente venuto. Per Gesù infatti i miracoli che egli compiva «non erano fatti normali, bensì momenti di un dramma mitico: in essi si realizzava la trasformazione meravigliosa del mondo nel regno di Dio». E questo era vero soprattutto per gli esorcismi, nei quali diventava particolarmente evidente la sconfitta di Satana. I suoi esorcismi non sono soltanto le opere potenti di un grande taumaturgo, secondo quella che era l’opinione comune del tempo, ma i segni che l’avvento del regno si è ormai realmente verificato. La cacciata dei demoni significa concretamente che, benché non sia ancora scomparso Satana però è stato vinto. Il suo dominio è infranto ed è iniziato quello di Dio. Vedere il regno di Dio, nell’annuncio di Gesù, come una realtà che è insieme futura e già presente. L’avvento definitivo del regno resta indubbiamente futuro. Dal successo strepitoso dei suoi miracoli Gesù trae la conseguenza che il Regno di Dio non si è soltanto avvicinato, ma è addirittura iniziato. Se Satana è stato vinto, il regno infatti ha avuto inizio. La trasformazione escatologica del mondo, di cui i miracoli di Gesù sono segno, non è più soltanto futura, e quindi attesa, ma già presente, e quindi concretamente anticipata. Nella tradizione giudaica il Messia, l’Unto (mai però definito così nell’Antico Testamento, dove l’unzione è prevista prevalentemente per il re di Israele e il sommo sacerdote) è colui che apre la strada a una venuta del regno di Dio che nella sua piena realtà resta interamente opera di Dio: il personaggio al quale Dio affida il compito di operare quella svolta decisiva dei tempi che segna l’inizio dell’epoca escatologica propriamente detta della sovranità di Dio. Questo personaggio nella concezione più diffusa, ma non unica, della tradizione giudaica (quella profetica in particolare) sarà un sovrano discendente dalla famiglia di David. E il suo primo compito, con cui opererà la svolta decisiva dei tempi, sarà quello di sconfiggere i nemici di Israele, liberandolo per sempre dal dominio dei pagani e instaurando un regno di pace e di giustizia. Gesù non accenna mai alla liberazione di Israele dal dominio romano. Non nutre alcun sentimento di ostilità nei confronti dei pagani. Compito essenziale e ineliminabile del Messia è infatti soltanto quello di compiere la svolta decisiva dei tempi e inaugurare l’epoca propriamente escatologica, aprendo la strada del regno di Dio. A un certo punto della sua predicazione i discepoli hanno cominciato realmente a sperare che Gesù fosse il Messia di Israele. L’ingresso di Gesù in Gerusalemme, meno trionfante certamente di quanto appaia dai vangeli, mostrerà nella restaurazione del regno di David ad opera di una figura in qualche modo messianica era tra loro molto viva. Del resto è difficile pensare che i discepoli (anche se probabilmente tutti molto giovani e desiderosi quindi di cambiare vita) avessero abbandonato famiglia e lavoro senza coltivare in segreto, sia pure in forma confusa, quella speranza. Ma il problema più importante è se a questa speranza Gesù abbia fornito concretamente un fondamento. Certamente Gesù non si è presentato come il Messia davidico che avrebbe liberato Israele dal dominio straniero. Il suo annuncio non ha proprio nulla di militare e guerresco. Ogni forma di violenza gli è del tutto estranea. Ma nella sua concezione (e forse anche in quella dei suoi discepoli) la guarigione dei malati e degli ossessi significava un’altra, e non meno importante, liberazione: quella del demonio. E anche se in maniera diversa da quella indicata dalla tradizione, questa liberazione dava realmente inizio al regno di Dio. Come legge Gesù i suoi esorcismi? «Se io scaccio i demoni con il dito di Dio, allora è giunto a voi il regno di Dio». La sconfitta di Satana che si realizza in quelle sue “opere straordinarie”, a proposito della quale in un altro passo di Marco Gesù afferma anche che «nessuno può entrare nella casa di un uomo forte e rapire i suoi beni, se prima non lo lega» (Mc. 3,27), segna per lui l’avvento del regno. Gesù, che quasi certamente apparteneva a una famiglia di discendenza davidica, compie realmente quella trasformazione della realtà di Israele che si aspetta dal Messia davidico. Gesù si è presentato come l’iniziatore della fine, come l’enunciatore di un’esortazione ultima; ha fatto capire, a chi voleva comprendere, che sarebbe stato l’interprete decisivo della fine dei tempi. Gesù non soltanto afferma infatti che le guarigioni dei malati e le cacciate dei demoni che egli compie sono il segno che il regno di Dio è venuto ma afferma anche in particolare che è dalla presa di posizione nei confronti della sua persona che dipende la sorte definitiva di ognuno: «Chi si vergognerà di me e delle mie parole in questa generazione adultera e peccatrice, anche il Figlio dell’uomo si vergognerà di lui quando verrà nella gloria del Padre con gli angeli santi» (Mc. 8,38). Qui non c’è ancora l’affermazione esplicita della propria pretesa messianica (che ci sarà soltanto dinanzi al sinedrio giudaico).

 

 di don Salvatore Rinaldi

Articolo di lunedì 23 Settembre 2019

Rubrica "Fede e Società"

 

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