A che punto siamo?

Si dica che l’unica rivoluzione non fallita del Novecento sia stata quella delle donne. Da allora l’umanità si guarda allo specchio in modo diverso. È andata in frantumi l’immagine dell’uomo come misura di tutte le cose. E forse anche l’homo vitruviano, perfettamente iscritto nel cerchio, da allora ha cominciato a sentirsi solo. Come un astronauta perso nello spazio.

Nessuno più, forse nemmeno gli uomini, si riconosce nel maschile universale, in un ritratto della famiglia umana dove le donne, nella migliore delle ipotesi, venivano immortalate nella posa di figuranti, entrate nel mondo dalla porta di servizio, addette per destino a quello che gli uomini reputavano bassa manovalanza, alla cura di ciò che è finito, corporeo, mortale. La loro azione era iscritta tutta nel confine domestico. Una divisione di ruoli – una scala di gerarchie e di valori – che ha puntellato, nei millenni, un ordine sociale e di pensiero, fino a costruire l’ossatura del linguaggio con cui ancora oggi parliamo e che per questo non sempre riesce a dar conto dei cambiamenti in atto. Si tratta di un cammino imboccato, e il viaggio è ancora lungo. Ma intanto, senza timidezza, le donne hanno detto che l’uomo non rappresenta l’universo, figuriamoci gli abitanti del pianeta. Dopo la rivoluzione copernicana nessuno aveva osato tanto. Con l’affermazione del soggetto femminile cambia il punto d’osservazione interno: non l’uomo, ma uomini e donne sono i due elementi costitutivi dell’umanità. Per questo motivo, emanciparsi dalla tutela e diventare soggetti giuridici proprio come gli uomini è stato necessario ma non sufficiente. Non tutto poteva risolversi dentro il Diritto; si rischiava di passare da una subalternità a un’altra, più insidiosa, di competizione, di rincorsa: essere tale e quale all’uomo, in un involontario processo di omologazione. Occorreva andare fino in fondo all’intuizione di un’autenticità fondativa. Non si tratta di definire l’essenza del maschile e del femminile. Anzi. La presa di parola delle donne sbriciolava le incrostazioni dei ruoli attribuiti, nella storia, dal rigido schema patriarcale. Bisognava affermare la propria dignità nella differenza. Donne? Donne si nasce. Donne non si diventa dentro un processo di distinzione dal maschio. Pari sì, ma differenti. Questo principio comportava un riconoscimento reciproco: rinunciare al dominio a favore della relazione. Non un turn over nella catena del comando, ma una guida a due. Invece di amplificare l’onnipotenza dell’uno, si riportava sulla Terra il senso del limite, del finito, del parziale. Una prospettiva inedita che costringeva a rivedere il passato e a guardare al futuro inforcando lenti nuove. La rivoluzione delle donne, insomma, metteva in discussione anche gli uomini. Questo voleva essere il nuovo fondamento di civiltà. Non sappiamo dire quanto il mondo abbia preso le forme di questa differenza. A che punto siamo? Dopo il ´68 che ha dichiarato la “morte del padre”, la figura del maschio, considerato come prepotente e prevaricatore (il padre padrone), fatica a trovare un modello sostitutivo che lo renda capace di rapportarsi con la donna del dopo femminismo. Dopo quasi 50 anni si è ancora alla ricerca di un uomo capace di incarnare la specificità maschile liberandosi da certi dannosi stereotipi per cui, ancora oggi soprattutto tra gli adolescenti, l’uomo, per parafrasare una vecchia pubblicità «non deve chiedere mai». Bisogna guardare la differenza al di là di questi pre-giudizi: Gli uomini razionali, le donne emotive, gli uomini attivi combattivi e aggressivi, le donne indulgenti, sottomesse ecc. attualmente sperimentiamo che queste differenziazioni tipizzate vanno completamente svanendo e vengono in parte sostituite da nuove. Le donne, nel frattempo, svolgono ogni genere di professione, anche quelle che fino a ora erano considerate tipiche occupazioni maschili, reinterpretando gli stessi ruoli al femminile. Una relazione da reinventare, una sfida alla quale le donne e gli uomini del terzo millennio possono e debbono rispondere mostrando, invece, che essi sono molto di più di certi ruoli che si vorrebbe loro assegnare. Un percorso coraggioso, ma non impossibile, che deve essere fatto da uomini e donne insieme nella ricerca di una reciprocità capace di custodire e rispettare le differenze.

 

di don Salvatore Rinaldi

Rubrica "Fede e Società"

Articolo di lunedì 25 Novembre 2019

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