Mosè consegnò al popolo una legge che manifestava la volontà divina, ma in realtà senza avere una conoscenza diretta del Signore e senza poterne conoscere i misteri più reconditi. Per Gesù la situazione è diversa perché il Figlio «è nel seno del Padre» ed ha la possibilità di una conoscenza intima. L’ambito più proprio al ruolo di Gesù è quello di “spiegare” o “rivelare, ciò che è molto appropriato per una realtà che non è pienamente conosciuta dai destinatari.
Se Gesù è il Verbo, cioè la Parola di Dio, è chiaro che viene proferita per illuminare un mistero. Ma qual è il nesso che collega il Bambino adagiato nella mangiatoia e la Parola di Dio? Per comprenderlo dobbiamo ricordarci che Dio parla. Contrariamente agli idoli che «hanno una bocca e non parlano», Dio entra in relazione con gli uomini. Tra lui e il popolo di Israele si instaura un dialogo nel quale si esprimono tutti i sentimenti umani. Lungo tutto l’Antico Testamento questo dialogo si realizza attraverso la bocca dei profeti, veri e propri porta-parola di Dio in ogni tempo, anche nel periodo nero dell’esilio. Ma la parola di Dio era ancora frammentata. Per di più gli uomini talvolta non la accettavano, il loro cuore si induriva e mettevano a dura prova la vita dei profeti. Per questo Dio ha deciso di mandare il suo stesso Figlio. La Parola di Dio divenne uomo. La stessa Parola di Dio fatta carne, però, verrà rifiutata. Alcuni la troveranno troppo dura, altri la considereranno addirittura una bestemmia. Per molti sarà ritenuta fuorviante. Allora cercheranno di bloccarla, di soffocarla, di farla tacere. La metteranno a morte, ma continuerà a manifestarsi attraverso i discepoli di Gesù. Renderanno testimonianza a questa parola e lo faranno attraverso la loro carne, la loro esistenza. Che cosa ci dice questa parola? Che la luce brilla in mezzo alle tenebre degli uomini. Che questa luce fa di noi dei figli di Dio, dei figli della luce che partecipano alla sua stessa vita. Il discepolo di Gesù si sente interpellato dal Vangelo, da una Buona Notizia portatrice di una speranza nuova perché gli trasmette, gli manifesta l’amore di Dio. Questo amore cambia tutto. La vita non appare più abbandonata al caso, confrontata con situazioni senza via d’uscita, schiacciata da pesi opprimenti: Gesù si fa compagno di strada, sostegno, conforto, colui che rialza, che risana, che infonde coraggio ed energia. Incertezze, dubbi, fatiche, sofferenze non scompaiono per incanto, ma il cristiano sa in ogni caso di poter contare su Qualcuno che non gli lascerà mai mancare il suo amore perché questo è totalmente gratuito, non sotto condizione. Dio non ci vuole bene solo se gli siamo fedeli… continua a volercene anche quando emerge la nostra fragilità perché non ha interessi nascosti se non quello della nostra riuscita, della nostra felicità. È l’amore di Dio, rivelato dalla parola, sperimentato nel corso dell’esistenza, che consente di leggere la propria storia e quella più grande, a cui apparteniamo, con occhi nuovi. La luce di Cristo permette infatti di decifrare anche gli aspetti oscuri e difficili del percorso, di riconoscere la vita anche dove sembra esserci solo morte, di cogliere possibilità inedite quando all’apparenza tutto sembra bloccato. La luce può avere un effetto impietoso perché rivela verità scomode e spiacevoli, fa provare vergogna per il proprio stato pietoso, per le debolezze e inadempienze che porta a galla, in noi e attorno a noi. Ma la luce di Cristo produce tutt’altre conseguenze proprio perché è benevola e misericordiosa. La sua verità trasmette speranza. Non lega al passato e ai propri sbagli, ma apre al futuro, fa toccare con mano che è possibile inoltrarsi per sentieri di giustizia e di pace, di fraternità e di accoglienza. Diventare figli di Dio. Significa ricevere in noi la sua linfa vitale. Come una trasfusione di sangue che infonde nuove energie e permette di reagire al male che ci rende deboli. Come una bombola di ossigeno, che consente di respirare a pieni polmoni e supplisce alla mancanza d’aria. La vita di Dio passa attraverso Gesù e il dono dello Spirito. È capacità di abbandonare il vecchio, lo scontato, il previsto, per imboccare sentieri inediti, quelli dell’amore. Figli di Dio, in definitiva, significa scoprire il legame profondo che ci unisce e ci rende simili a lui, alleanza più tenace di qualsiasi prova. Diventare figli di Dio. Non rappresenta un obbligo o una coercizione: è piuttosto un dono che fa appello alla libertà dell’uomo e quindi ad una sua scelta, ad una sua decisione. Il dono di essere figli di Dio fa sorgere un modo nuovo di stare insieme: una comunità che è esperienza fraterna, condivisione. Non solo della fede e della speranza, ma anche dei beni di questo mondo, nella carità. La logica dell’Incarnazione continua proprio in comunità cristiane che vivono nella storia, in un tempo e in un luogo determinato, e raccolgono la sfida di vivere secondo il vangelo di Gesù. Si tratta di una necessità: da soli non si va da nessuna parte. Gli scalatori solitari si imbarcano in imprese talora tristemente fallimentari. I cristiani che non si aiutano a vicenda difficilmente sono in grado di rendere ragione della loro speranza.
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