Con l’aiuto di professionisti in materia propongo questa seconda parte. Scrive in proposito Massimo Recalcati: «nella prospettiva della psicoanalisi, le funzioni della madre e del padre non possono essere abolite da un richiamo genetico alla genitorialità che annulli la differenza sostanziale tra funzione materna e funzione paterna, magari riducendo queste funzioni, come accade già, alla definizione anonima di un genitore detto 1 e di un genitore detto 2.
Se l’esistenza di un desiderio non-anonimo resta la condizione di fondo per la trasmissione del desiderio da una generazione all’altra, la declinazione materna di questo desiderio è diversa da quella paterna» (M. Recalcati, Le mani della madre. Desiderio, fantasmi ed eredità del materno, Milano, Feltrinelli, 2015,75. Circa la critica a tale confusione e smarrimento nelle odierne società occidentali). Gli studi condotti sui primi anni di vita del bambino mostrano come funzione materna non sia da intendere esclusivamente in senso negativo, come proibizione al soddisfacimento dei propri impulsi, ma anche positivamente, come rassicurazione e invito a «osare» là dove la situazione si presenta difficile o sconosciuta: «Un bambino esplora l’ambiente della nostra stanza da gioco, incontra una situazione sperimentale di incertezza (ad. esempio, un robot, qualcosa che si stacca da una superficie strisciante o uno strano giocattolo). Lui allora guarda la madre. Se lei segnala paura o rabbia, lui evita la nuova situazione; se segnala gioia e interesse, lui si avvicina ed esplora la nuova situazione. Si hanno effetti regolatori simili con i segnali emotivi emessi dalle espressioni del volto e della voce della madre… Nel bambino il “riferimento sociale” incomincia a metà del primo anno ed è molto marcato nel secondo anno di vita.. si sente spesso insicuro per le nuove situazioni e allora guarda qualcun altro (di solito la madre) per risolvere l’insicurezza e regolare di conseguenza il suo comportamento» (R. N. Emde, «Development terminable and interminable», in International Journal of Psychoanalysis 69 1988 1). Le emozioni basilari si sviluppano in maniera adeguata all’interno della relazione preferenziale con il corpo della madre, figura di riferimento stabile sotto il profilo biologico e affettivo: una relazione che passa per il tatto, lo sguardo, il sorriso e la parola. Donald Winnicott parla della necessità di una «madre sufficientemente buona» (a good enough mother), capace cioè di consentire al bambino di passare dal principio di piacere al principio di realtà: «Una madre sufficientemente buona, per come la intendo, comincia da quasi un completo adattamento ai bisogni del suo bambino e, man mano che il tempo passa, se ne distacca con gradualità, consentendogli di crescere nella capacità di affrontare i suoi fallimenti di madre» (D. W. Winnicott, «Transitional objects and transitional phenomena», in International Journal of Psychoanalysis 34 (1953) 94). Per compiere questo passaggio fondamentale la madre deve saper uscire da se stesa, mettendo tra parentesi le sue esigenze, e vivere per l’altro, ascoltandolo, imparando a decifrarne il linguaggio, a capirne le esigenze e i veri bisogni. È chiamata inoltre a riconoscere le varie fasi dello sviluppo del bambino, per essere in grado di stabilire una relazione matura; è chiamata infine a scoprire la ricchezza e profondità di tali fasi, con le gioie e le sofferenze che questo comporta. L’attuale ricerca sembra anche evidenziare fin dai primissimi mesi di vita del bambino la presenza di strutture innate organizzate, che danno origine alle rappresentazioni interne del sé, del mondo e degli altri. Tali strutture emergono sempre in relazione a figure significative dal punto di vista affettivo: la figura, cioè, per riprendere l’affermazione di Winnicott, di una «madre sufficientemente buona», che consenta al bambino di osare, di uscire da se stesso e investire nella fiducia, nelle relazioni, nell’esplorazione dell’ambiente. L’uomo cresce e si sviluppa non nella spontaneità, ma nell’educazione, superando ostacoli; se questi sono proporzionati alle sue capacità e fasi della crescita (è il compito della madre «sufficientemente buona» di Winnicott), il bambino impara ad acquisire un adeguato senso di realtà e di stima di se stesso. Le richieste affettive del bambino disattese riemergeranno nelle età successive, ma il livello in cui erano state «congelate», rendendo più difficile l’ingresso nella fase adulta della vita. È la cosiddetta «sindrome di Peter Pan» (Cfr G. Cucci, La crisi dell’adulto. La sindrome di Peter Pan, Assisi Pg, Cittadella, 2012). Continua…
di don Salvatore Rinaldi
Articolo di lunedì 3 Febbraio 2020
Rubrica "Fede e Società"
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