Occhi e volto della madre

Se il bambino è visto dalla madre unicamente come parte di sé, in funzione della soddisfazione dei propri bisogni frustrati, ciò renderà più difficile il processo di crescita in ordine alla sua identità e nell’acquisizione di un corretto senso della realtà. Da qui l’importanza, per la stessa madre, dal padre come figura di riferimento alla pari.

Questo aiuto vicendevole evita il rischio, da parte del genitore, di riversare sui figli le proprie ansie o richieste di comprensione e tenerezza, dando origine a quelle perverse diadi di cui il figlio o la figlia sono chiamati a diventare rispettivamente «vicemarito» o «vicemoglie» del proprio genitore, impedendosi di vivere la tappa infantile e di figliolanza della propria vita, due condizioni essenziali per la maturità psichica, cognitiva e affettiva. Quanto più la relazione marito-moglie è sana e affettuosa, tanto più è possibile svolgere bene il compito di padre-madre, mantenendo una distanza ottimale: «Una madre può diventare tutt’uno con il figlio e a volte si sente confusa e sopraffatta quanto lui dalle emozioni. In questi momenti il padre ha un compito essenziale, che è quello di aiutare la compagna a rimanere se stessa, senza lasciarsi travolgere dalle sensazioni infantili. La può proteggere inserendosi fra lei e il bambino da cui non riesce a staccarsi, dandole il tempo di riprendersi, di riposare e di ritrovare un po’ di spazio per sé» (A. Philip, I «no» che aiutano a crescere, Milano, Feltrinelli, 1999, 47). Mancando il padre, c’è il rischio che la madre investa in maniera spropositata nella relazione con i figli, soffocandoli e perdendo le distanze, chiedendo loro di riempire l’affetto che non può ricevere da un uomo. La mamma tende così a diventare ansiosa e protettiva verso il figlio, soprattutto maschio, non consentendogli di staccarsi dal nido familiare e di iniziare una vita autonoma. Questi comportamenti sono per la madre espressione di disagio e sofferenza, e forse anche un tentativo disperato di porvi rimedio, portando ad una relazione simbiotica, caratterizzata dalla tendenza di assimilare a sé l’altro, non riconoscendolo nella sua alterità. A differenza dell’animale, che abbandona il cucciolo una volta divenuto autonomo, il genitore resta tale per sempre, e molte delle vicende, aspettative e ferite della primissima età faranno la loro comparsa nella fase adulta della vita. La fiducia, la stima, l’affetto sono per il bambino indispensabili come il latte materno e l’aria che respira, anche se l’ambiente circostante può non essere dei più confortevoli e rassicuranti dal punto di vista materiale. Lo psicanalista Bruno Bettelheim ricorda che, quando i genitori comunicano ai figli terrore e angoscia, i bambini manifestano i medesimi sentimenti; i genitori che invece comunicano anzitutto sicurezza, ottengono l’effetto sorprendente di rassicurarli. La vicinanza e la voce rasserenante dei papà e mamma sono sufficienti per calmare, ed essi non hanno più paura di nulla. «Il modo in cui il genitore vive un evento cambia tutto per un bambino, perché è in base al vissuto del genitore che egli si crea la propria interpretazione del mondo» (B. Bettelhem, Un genitore quasi perfetto, Milano, Feltrinelli, 1990, 59). Un ambiente materialmente confortevole ma carente sotto l’aspetto dei legami porta a una incapacità strutturale a dare fiducia e a instaurare rapporti profondi. Ambienti comunitari con relazioni indifferenziate evidenziano deficit nello sviluppo affettivo; ad esempio, i bambini cresciuti nei kibbutz presentano evidenti difficoltà e carenze nella capacità di provare emozioni profonde: «Quando un giovane individuo non apprende le componenti dell’attaccamento nei confronti di un’unica figura materna, egli è in grado di sviluppare soltanto attaccamenti superficiali nei confronti degli altri» (W. R. Thompson – J. E. Grusec, «Studies of early experience», in P. H. Mussen (ed.), Carmichael Manual of Child Psychology, New York, Wiley, 1970, vol. II, 622). «Gli occhi della madre, e tutto il volto della madre, sono il primo specchio del bambino. In seguito questa esperienza verrà usata direttamente nella prima rappresentazione di Dio, la cui funzione di specchio riecheggia in modo molto interessante il racconto biblico della creazione dell’uomo: “Così Dio creò l’uomo a propria immagine, egli lo creò ad immagine di Dio”» (Gen 1,27, A. M. Rizzuto, La nascita del Dio vivente. Studio psicoanalitico, Roma, Borla, 1994, 286). Una equilibrata umanità e una religiosità sana non si coltivano anzitutto attraverso chissà quali insegnamenti catechistici, ma attraverso relazioni affettivamente intense e sincere. La Bibbia stessa presenta la relazione di Dio con l’uomo proprio riferendosi alla cura della madre verso il suo bambino, simbolo di un affetto e fedeltà indissolubili, che le alterne vicende dell’esistenza non possono compromettere: «Si dimentica forse una donna del suo bambino, così da non commuoversi per il figlio delle sue viscere? Anche se costoro si dimenticassero, io invece non ti dimenticherò mai» (Is 49,15). Nessun legame umano può essere paragonabile a quello che si è avuto con la propria madre. Per questo esso è immagine per eccellenza della partecipazione alla vita divina. A tale relazione ognuno è chiamato a tornare per ritrovare la propria identità, anche se è stata fonte di dolore e di abbandono.

 

di don Salvatore

Rubrica "Fede e Società"

Articolo di lunedì 17 Febbraio 2020

 

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