L’intervento di Dio nelle cose della vita può essere riconosciuto solo all’interno di un atto di fede. Che le cose capitino nel momento opportuno, anche se non ne siamo consapevoli (per troppa fretta, paura, distrazione) è una dimensione della fede nella Provvidenza. Spesso ci si è resi conto di ciò che Dio aveva donato solo in una rilettura dell’esperienza, come s. Agostino nelle sue Confessioni.
La Provvidenza non ha solo a che fare con la bontà delle cose, col fatto cioè che capitino cose buone più o meno comprensibili al momento, ma dice anche l’ordine al fine ultimo (Summa Theologiae I, q. 22, articolo 1). In questa prospettiva l’inno più bello alla provvidenza è Ef 1,3-18, ossia la contemplazione del piano di Dio che ci ha predestinati ad essere santi e immacolati al suo cospetto per l’eternità. Si incontra in maniera pertinente l’azione di Dio nella nostra vita solo nella misura in cui si è impegnati e coinvolti nell’azione salvifica di Dio stesso, e quindi in un servizio a favore degli altri che Dio ci ha affidato. La Provvidenza va percepita all’interno della vocazione con la quale Dio ci ha chiamati all’esistenza e alla fede, coinvolgendoci nella sua azione (Rm 8,31-36). La Provvidenza non la si può valutare da spettatori neutrali, che indagano curiosamente sul destino o la sorte degli altri. La si comprende perché e nella misura in cui ci si sente interpellati. La Provvidenza non implica fatalismo né rassegnazione. Al contrario, chiede il coraggio di lasciarsi interpellare da Dio sul proprio destino, sulla propria condizione, per rimanere aperti alle cose nuove e impreviste che Dio vuole operare: «Ma in tutte queste cose noi stravinciamo in grazia di Colui che ci amò» (Rm 8,37). La fede nella Provvidenza si lascia sempre sorprendere da Dio. R. Guardini scrive: [La Provvidenza] non è una fiaba, ma realtà; pure non la realtà, indiscutibile, della natura o della storia, ma una che viene da Dio. E questo non in uno spazio segreto, a lato della natura e della storia, ma nel mezzo di queste… Noi ne sentiamo parlare dalla voce di Dio e dobbiamo osare quest’atto di fede: allora sorgerà tra Dio e noi questa realtà. Il mondo, così com’è, sembra contraddire e il nostro cuore è continuamente indotto a dubitare del messaggio; perciò la fede deve sempre di nuovo fortificarsi. A poco a poco tuttavia essa comincerà a vedere come stanno le cose e a intuire il significato di un avvenimento, di un incontro, di una riuscita o di una sconfitta. Avvertirà dietro le forze e le necessità, che abitualmente reggono gli avvenimenti, un’altra potenza e un senso nuovo. Si sentirà sollevata in una santa armonia che esce da Dio. Questa conoscenza può talvolta farsi limpidissima, poi di nuovo spegnersi completamente. Abitualmente essa agirà nella vita come una lieve sensazione di fiducia. Per il resto tutto riposa sulla fede. L’essenziale rimane nascosto e si svelerà solo quando al termine della storia si compirà il Regno di Dio. Quello che accade nella vita dell’uomo a opera della Provvidenza è una parte del mondo futuro, nel quale, su una nuova terra e sotto nuovi cieli, l’uomo nuovo vivrà (Ap 21,1). Questo mondo già da ora ha principio, nell’uomo che si apre alla Providenza; esso però si farà manifesto solo alla fine. (R. Guardini, La fede come vittoria, in Filosofia della religione. Esperienza religiosa e fede, Morcellina, Brescia 2008, 281-293).
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